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Più camelie, meno mimose. Come cambia il giardino all'Italiana

Cristina Agostini
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Nessuno le vuole più le mimose. Fanno una fugace comparsa l' 8 marzo, tra i fioristi e i venditori ambulanti per la Festa della donna, ma poi spariscono. Così come stanno scomparendo dai nostri giardini. Eppure non è un caso se questa pianta è diventata il simbolo dell' 8 marzo. Semplicemente è l' unica che fiorisce alla fine dell' inverno. «Nessuno vuole più le mimose», ripete Giulio Frova, giardiniere. «Perché non vanno più di moda. Hanno un profumo forte. Non piacciono più». Peccato, «sono l' unica macchia di colore che si può ammirare a febbraio». Le mani di chi lavora nei giardini, la pelle di chi passa la vita all' aria aperta, lontano dalle grigie metropoli e dagli asettici uffici, Giulio fa il mestiere di Adamo - l' uomo «creato per coltivare un giardino piantato da Dio» - ma, a differenza della pace e serenità del Paradiso, dell' Eden biblico, a differenza di Adamo, deve lottare ogni giorno «nel regno dell' instabilità delle forme, nel flusso dei cicli stagionali e dei ritmi di crescita delle piante», come ricorda Carlo Tosco ne La storia dei giardini - Dalla Bibbia al giardino all'italiana (ed. Il Mulino). E pure, deve lottare nei flussi delle mode e delle manie del momento. Lo sa bene Giulio, milanese trapiantato a Santa Margherita che cura piante, alberi e fiori della Riviera ligure, dalle ville lussuose di Portofino a quelle dei milanesi che hanno "colonizzato" la zona a est di Genova. È braccia e memoria storica di questi luoghi. Perché il giardino negli anni e nei secoli «si è evoluto muovendosi nelle direzioni più disparate, sia in senso simbolico che sociale e tecnico», come ci insegna Tosco nel suo volume. Così, il giardino d' amore dell' antico Egitto, dove nella letteratura «le piante personificate fanno a gara per ospitare alla loro ombra l' intimità degli amanti», torna in qualche modo nei jardins d'amour francesi del Trecento e Quattrocento. ALIGHIERI E BEATRICE - E ancora nei giardini danteschi, nel giardino mistico di Beatrice nel canto XXIII del Paradiso o ancora nel giardino «simbolico che richiama l' Eden perduto, il luogo ideale per leggere e poetare, l' ambiente per sperimentare la coltivazione delle piante» del Petrarca che «s' improvvisa hortolanus». Da qui, continua Tosco, nasce "il giardino all' italiana". «La geometria formale dell' impianto, il rispetto delle simmetrie, le bordature di siepi, le potature artistiche, le spalliere e le pergole vitate, il rigido equilibrio tra i percorsi rettilinei e le aiuole tracciate sul terreno, sono tutti elementi che andranno a comporre l' immagine tipizzata di questo emblema dell' Italia rinascimentale». E così il giardino italiano diventa il "giardino all' italiana", una vera e propria «categoria artistica, l' emblema di uno stile». E oggi che cosa ne è del giardino all' italiana? Intanto, premette Giulio Frova, «il giardino all' italiana in senso classico non esiste più». A parte quelli storici dove si ritrovano tutte le caratteristiche tipiche, i giardini moderni privati sono cambiati e si sono allontanati da quel modello «sia per le nuove esigenze sia perché gli spazi si sono molto ridotti». «La ghiaia, tipica del giardino all' italiana, non si usa più» ma, per esempio, «stanno tornando le camelie, che si utilizzavano molto nell' Ottocento e poi avevano vissuto un declino». Ai giorni nostri, prosegue, «si tende ad affidare il giardino all' architetto paesaggista che di fatto lo organizza a suo piacimento ma sarebbe importante che ci fosse una maggiore attenzione all' idea di un giardino sostenibile». COME TRATTARE LA TERRA - Perché la «natura va assecondata e piante e fiori dovrebbero essere scelti in base all' habitat in cui si vive». Per esempio, dice, «non avrebbe senso piantare ortensie in Liguria perché hanno bisogno di un terreno acido mentre si possono utilizzare benissimo al lago». La logica dovrebbe suggerire quindi di «prendersi cura di quello che c' è già in un giardino. Se sono presenti uliveti e vigneti, vanno lasciati. Non si possono togliere alberi preesistenti, così come non si possono piantare alberi già grandi e grossi come qualcuno chiede. Bisogna cominciare a pensare, come si faceva in passato, che tu pianti un albero oggi ma quell' albero lo vedrà tuo nipote. Lui potrà godere di quella scultura vivente che tu metti in giardino ora». Anche rispetto al problema dei parassiti come lo xylosandro che sta mettendo a rischio la macchia mediterranea, bisogna provare a cambiare prospettiva. «L' accanimento sulle piante malate con l' uso dei pesticidi è inutile», insiste Giulio. «Una pianta è un ecosistema e se io quella pianta intaccata la riempio di veleno non solo non risolvo il problema ma quello stesso veleno avrà effetti sugli animali che le gravitano attorno. E non solo. Si ripercuoterà anche su di noi che ci fermiamo vicino, magari seduti sulla panchina a leggere un libro pensando di respirare ossigeno e invece inalando sostanze tossiche». Quindi, conclude, "dobbiamo invece abituarci alla natura che cambia e assecondare il suo perenne mutamento. Vanno evitate tutte le forzature. Se una pianta è malata lasciamola morire, con lei moriranno anche i suoi parassiti. E ne pianteremo un' altra». Magari una bella mimosa, per avere una macchia di colore alla fine dell' inverno. di Eliana Giusto

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