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Petrolio congelato, la Basilicata ha l'oro sotto i piedi e non lo prende. Il capolavoro di Di Maio e Toninelli

Cristina Agostini
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È un'economia con le ganasce quella italiana, appesantita da una burocrazia farraginosa che funge da vincolo all'iniziativa imprenditoriale, da un adiposo insieme di regole che rallenta il passo allo sviluppo nonché da una diffusa sottocultura che considera il progresso una minaccia non solo per l'ambiente ma anche e soprattutto per il cittadino. Quest'ultimo vuole permanere abbarbicato ai suoi usi e costumi, alle sue sicurezze, come i Malavoglia di Giovanni Verga restavano attaccati morbosamente alla loro "roba". Nonostante l'Italia sia del tutto dipendente da Stati stranieri per il suo approvvigionamento energetico, la scoperta del petrolio nel sottosuolo lucano non ha mandato in brodo di giuggiole né gli abitanti della penisola, i quali non se ne sono neanche accorti, né coloro che hanno governato la baracca negli ultimi lustri. Insomma, abbiamo appreso di avere l' oro sotto le chiappe e ce ne siamo rimasti beatamente accomodati sopra, girandoci i pollici. Anzi no. Scusateci. È inesatto. Abbiamo scoperto di avere l'oro sotto le chiappe e abbiamo fatto di tutto per tenerlo lì. Ovvero non solo non ce ne è fregato un soldo, ma pochi giorni fa il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (Cipe), presieduto dal premier e costituito in via permanente dai ministri dell' Economia, dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture e del Lavoro (parliamo quindi di Toninelli e Di Maio. Insomma, siamo in buone mani), ha deciso di bloccare il progetto Tempa Rossa. Leggi anche: Toninelli, l'ultimo regalo sciagurato prima dell'addio: autostrade, dove cresce il pedaggio (e quanto) Si tratta di un giacimento petrolifero che sorge nel cuore della Basilicata, i cui lavori di realizzazione avrebbero dovuto essere conclusi già da un bel po' ma che hanno finito con l' essere ostacolati da continui impedimenti pubblici nonché da indagini della magistratura rivelatesi buchi nell' acqua. Adesso giunge il colpo di scena: anziché dare una risoluta accelerata al progetto, lo si paralizza. Ci aspetteremmo quantomeno valide motivazioni alla base di codesta scelta all' apparenza così priva di logicità da risultare autocastrante. Tuttavia le ragioni di Stato, sia buone che cattive, mancano. Infatti, a livello ambientale l' opera non avrebbe alcun impatto negativo, semmai al contrario gioverebbe all' ambiente. E questo è più che acclarato da numerosi studi condotti a partire dal 2001, anno di presentazione ed avvio del progetto Tempa Rossa, volto alla costruzione di un impianto per l' estrazione, la liquefazione e il trasporto della materia prima tramite oleodotti. NON È QUESTIONE DI SOLDI - Scartata questa ipotesi, sorge spontaneo pensare che Tempa Rossa costi troppo ed i soldi pubblici - si sa - scarseggiano, dato che li dobbiamo regalare a chi non lavora. Eppure anche questo è errato: per la costruzione dell' opera lo Stato non sborsa un euro, poiché gli ingenti investimenti sono privati, della Total Spa. Lo Stato semmai ne trarrebbe guadagno: entrate fiscali, creazione di nuovi posti di lavoro in un' area peraltro in cui la disoccupazione è endemica, investimenti dall' estero, autonomia energetica, sviluppo. Tutte cose superflue, da cui non è minimamente ingolosito il governo, che, come specifica il Cipe, «non ritiene il petrolio di interesse strategico nazionale». E di tale risoluzione i ministri membri del Cipe vanno pure fieri, come quando hanno festeggiato l' abolizione della povertà. Roba da matti! Tempa Rossa darebbe una bella scossa al Mezzogiorno, che è prostrato, abbattuto, ripiegato su se stesso, incapace ormai di vedere un orizzonte di luce. La Basilicata, grazie al suo petrolio, da fanalino di coda potrebbe trasformarsi in una regione prospera, come quei Paesi del sistema internazionale che hanno sfruttato le proprie riserve energetiche naturali. Sarebbe una chance da non farsi sfuggire. Invece, la sprechiamo, gettandola via, per continuare ad importare a costi elevati petrolio dall' estero nonché a vivere da derelitti. CHE GRANDE AFFARE - Potremmo pensare che il governo si sia bevuto il cervello, ma ci risulta che Gigino Di Maio e company ne siano sprovvisti. I dilettanti allo sbaraglio che amministrano i nostri affari seguitano ad inanellare un fallimento dietro l' altro, a provocare licenziamenti, stagnazione e paralisi dell' economia, a bloccare cantieri, a fare saltare accordi pregressi, ad allontanare investimenti ed investitori dalla nostra penisola, i quali vengono cacciati via nel senso letterale del termine. E non dubitiamo che mai più torneranno da queste parti dopo le perdite subite a causa della schizofrenia dei governanti. Il Cipe definisce questo colpo basso all'economia nazionale «un altro tassello messo a segno». Ed è forse questo l'aspetto più preoccupante di questa faccenda. Peggio dei politici che fanno cazzate sapendo di farle, ci sono i politici che fanno cazzate credendo con convinzione di conseguire successi. Beata ignoranza! Amen. di Azzurra Barbuto

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