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Pamela Mastropietro, come è stata uccisa. Viaggio nell'orrore africano, una mattanza "fredda e disumana"

Cristina Agostini
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Su Innocent Oseghale "non esiste nessun ragionevole dubbio", "esclusa ragionevolmente la morte per overdose, questa deve essere ascritta alla due coltellate vibrate dall'imputato allorché Pamela Mastropietro era ancora in vita". È quanto sottolinea la Corte di Assise di Macerata in un passaggio delle motivazioni della sentenza di condanna all'ergastolo, con 18 mesi di isolamento diurno, nei confronti di Oseghale. "I risultati delle indagini chimico-tossicologiche indicano, quindi, che la Mastropietro al momento della morte, si trovava ancora sotto l'effetto, in via di risoluzione, di sostanze stupefacenti (eroina) il cui processo di trasformazione metabolica era avviato". Secondo la Corte quindi la morte di Pamela è avvenuta per le due coltellate inferte quando era ancora viva. Due coltellate che sono, secondo quanto spiega la Corte di Assise nelle motivazioni della sentenza di condanna, "del tutte avulse e incoerenti rispetto a un'attività di mero depezzamento" del cadavere. Oseghale ha avuto il rapporto sessuale con Pamela approfittando "dello stato di evidente inferiorità fisica di Pamela, aggravato dalle precarie condizioni psichiche della ragazza" che era anche "priva di una effettiva capacità di autodeterminarsi". Oseghale dopo averla stuprata ha ucciso e fatto a pezzi il cadavere di Pamela, ha poi lavato i resti della ragazza con la varechina per inquinare "la prova omicidiaria". "Ritiene questa Corte sottolineare, con particolare enfasi, la condotta di Oseghale" che "dopo aver accoltellato la ragazza ancora in vita, provvedeva non soltanto al depezzamento e alla dissezione del corpo, ma attendeva all'accurato lavaggio di tutti i resti con la varichina, cospargendo con l'ipoclorito di sodio anche i genitali e le labbra di Pamela, attività funzionale ad un inquinamento della prova omicidiaria e che non può certo trovare giustificazione nel fatto che l'imputato si sentisse, per così dire, infastidito dall'odore proveniente dai resti dopo aver brutalmente sezionato il cadavere con chirurgica precisione". Dopo "aver appagato il proprio istinto sessuale ed ucciso" Pamela, Oseghale è uscito per svolgere il suo "lavoro" legato alla droga. "L'opera di disarticolazione, depezzamento e decapitazione si svolgeva invece nel pomeriggio e nelle ore serali dopo che Oseghale, effettuata la consegna dello stupefacente al cliente nel primo pomeriggio, era rientrato a casa". "Fredda e lucida era la condotta criminale dell'imputato, privo di emozioni", una "freddezza disumana ampiamente dimostrata dalle modalità con cui Oseghale straziava il corpo della ragazza, turbato non dalle operazioni di disarticolazione, depezzamento e decapitazione, ma solo infastidito, a suo dire, dall'odore che proveniva dai resti cadaverici".

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