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In caso di divorzio la casa familiare rimane ai figli

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Giulio Bucchi
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Può succedere che una storia d'amore giunga al capolinea. In quel momento le questioni da affrontare sono moltissime. Tra queste, una delle più spinose e problematiche, è quella di determinare chi possa continuare a vivere nella casa dove la vita familiare si è svolta. Nessun problema se non ci sono figli: la casa rimarrà a chi ne è proprietario e, in caso di cointestazione dell'immobile, i comproprietari decideranno – insieme – le sorti (vendita a terzi, vendita della quota di uno all'altro, donazione e così via). La situazione diventa complicata se ci sono figli. La regola principale è che la casa venga assegnata al genitore presso il quale i figli vivranno prevalentemente (il c.d. genitore collocatario), nella maggior parte dei casi la mamma. Indipendentemente dal fatto che l'immobile sia di proprietà di uno solo dei genitori, dal fatto che uno dei due sia stato generoso cointestando, in “tempi non sospetti”, l'immobile anche all'altro o, addirittura, dal fatto che l'immobile coniugale sia di proprietà dei genitori di uno dei partner (quindi i nonni dei bambini) e sia stato previsto un diritto di comodato a favore della giovane famiglia (salvo rare eccezioni). Con la casa vengono assegnati anche gli arredi, le suppellettili e le altre pertinenze: dagli armadi alle poltrone, dagli elettrodomestici alle posate, dai quadri ai tappeti. Dunque, chi dovrà trasferirsi altrove potrà portare con sé solo gli effetti personali (indumenti, gioielli, strumenti di lavoro e così via). Il diritto di proprietà sull'immobile non viene scalfito, ma – nei fatti – temporaneamente limitato. Ed è proprio questa limitazione a creare malcontenti e a nutrire il senso di ingiustizia e di imparzialità. Bisogna, tuttavia, riflettere sul fatto che questa previsione normativa trova la sua ragion d'essere in un bene superiore: l'interesse dei figli a continuare a vivere nel loro habitat familiare ossia nel luogo dove sono cresciuti per evitare, in questo modo, che subiscano un nuovo e ulteriore smarrimento. I minori, d'altra parte, dovranno certamene cambiare la loro quotidianità (zainetto alle spalle ogni fine settimana, giocattoli e abbigliamento sparsi dall'uno e dall'altro genitore, tempi prestabiliti per vedere mamma e papà e così via). È importante, quindi, garantire ai più piccoli certezze, costanza e punti fermi tra i quali, certamente, spicca quello di assicurar loro di poter continuare a vivere dove sino a quel momento sono cresciuti. In termini simbolici, infatti, la casa rappresenta il nostro centro, le nostre radici e la nostra identità psicologica. Mamma e papà, in caso di accordo, possono sempre determinarsi per l'assegnazione dell'immobile coniugale al genitore presso il quale i bambini vivranno prevalentemente cioè optare per la soluzione che viene scelta dai giudici nella maggior parte delle cause giudiziali. I genitori, tuttavia, potranno anche decidere di far cambiare abitazione ai figli, ma è importante che lo facciano accompagnando questa decisione da delicatezza e sensibilità. Rendendo la nuova casa una prospettiva gioiosa (per esempio invitando i bambini a scegliere il loro nuovo lettino o il colore delle pareti della nuova cameretta), anziché occasione di dolore per l'abbandono di quella precedente dove i più piccoli avevano riposto rassicuranti certezze, sane consuetudini e confortevole quotidianità. Una diversa soluzione, ancora, è quella di organizzarsi affinché siano i genitori ad alternarsi presso l'abitazione familiare e, al contrario, decidere che i figli vi rimangano in pianta stabile. Mamma e papà, in altre parole, potrebbero vivere nella casa familiare a settimane alterne e trascorrere il resto del tempo altrove (dai genitori, in un monolocale in locazione, dal nuovo fidanzato/a e così via). Quest'ultima scelta è probabilmente poco frequente, ma certamente molto responsabile da parte dei genitori che dovranno – questa volta loro e non i minori – preparare la valigia, dormire a settimane alterne in un letto diverso e perdere quella quotidianità e comodità che avevano instaurato nell'abitazione familiare. D'altra parte, la scelta di separarsi è loro, non dei minori. In ogni caso, l'assegnazione della casa familiare dipende strettamente dalla convivenza con i figli ed è, dunque, sempre e comunque un diritto temporaneo. Chi si è visto privato dell'abitazione di sua proprietà/comproprietà per alcuni anni, quando i figli si saranno trasferiti altrove (per esempio per studiare o lavorare all'estero), potrà far valere le tutele previste dalla nostra legge e ristabilire, in questo modo, quel diritto che negli anni è stato “intralciato” in forza dell'assegnazione al genitore collocatario. di Marzia Coppola [email protected] Studio legale Bernardini de Pace    

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