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Fine vita, Valeria Imbrogno: "La sentenza della Corte onora la battaglia di Dj Fabo"

Davide Locano
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«La cosa che mi è mancata di più in questo doloroso percorso è stata la mancanza di un sostegno da parte di medici e infermieri che mi spiegassero quel che stava succedendo. Per questo dico a voi, quando sarete medici, di ricordare che dietro al paziente c'è una persona con la sua storia e la sua dignità, soggettiva per ognuno di noi». A parlare è la caregiver più nota d'Italia: Valeria Imbrogno, compagna di Dj Fabo, davanti ad una platea di giovani medici alla Sapienza Università di Roma in occasione della giornata “Il Fine Vita Fra Legge 219 E Sentenza Della Corte Costituzionale” di formazione sul fine vita organizzata dalla Sapienza con Consulcesi e Sanità In-Formazione. Valeria si racconta ed emoziona i futuri camici bianchi: «Fabiano decise di interrompere la sua vita dopo aver fermamente creduto di potercela fare.  Le aveva tentate tutte, prima di decidere che quella che stava conducendo non era la vita, ma una sopravvivenza senza dignità. Quando arrivò il semaforo verde dalla Svizzera, Dj Fabo chiese a Valeria di organizzare una grande festa. Io voglio andarmene via a febbraio, però prima voglio fare 40 anni». Valeria tiene a precisare che il percorso in Svizzera lo avrebbe condotto al suicidio assistito, è stato un percorso pieno di ostacoli e difficoltà. Uno studente le ha chiesto perchè Dj Fabo avesse perso le speranze, Valeria ha riportato le parole che Fabo aveva rivolto alla fidanzata: “Tu vivresti tutta la vita legato a letto e bendato?” Valeria Imbrogno ha condotto, insieme al suo compagno e con l'aiuto di Marco Cappato dell'Associazione Coscioni, la battaglia per l'autodeterminazione e il riconoscimento del fine vita che ha portato alla pronuncia della Corte Costituzionale. Un passo avanti storico che pone nuove orizzonti per i pazienti, ma anche nuovi quesiti. Cosa cambia dopo le recenti sentenze sul fine vita? Abbiamo provato a rispondere, grazie al contributo del Professor Pasquale Macrì, Direttore Medicina Legale Asl Arezzo, e della Professoressa Paola Frati, ordinario di Medicina Legale alla Sapienza a margine di un'intera giornata di lavori organizzata da Consulcesi e Sanità in-Formazione con i maggiori protagonisti dell'argomento. La grande novità sul fine vita in Italia, in attesa di una vera e propria legge sul tema, è rappresentata dalla pronuncia storica della Corte Costituzionale che, a seguito della vicenda di Dj Fabo, ha dichiarato non punibile il medico che agevola il suicidio del paziente determinato a togliersi la vita.  Qualche giorno fa, la Federazione degli Ordini dei Medici ha allineato il suo Codice deontologico alla decisione della Corte, adeguando la non punibilità penale a quella disciplinare. La Corte di Cassazione prevede che si verifichino alcune condizioni necessarie per procedere con il suicidio assistito e cioè che il paziente debba essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili,  ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. La Corte pone ulteriori “paletti” a difesa della persona: il rispetto della normativa sul consenso informato e sulle cure palliative e la sedazione profonda continua e la verifica dei criteri e delle modalità di esecuzione che devono essere effettuate esclusivamente da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del Comitato Etico territorialmente competente. Il medico è obbligato ad effettuare il suicidio assistito? Il medico non è obbligato a procedere ad atti suicidari ed in questo è confortato dalla clausola di obiezione di coscienza, che è stata ribadita anche nell' analisi del Codice Deontologico fornito dalla FNOMCEO. Ma attenzione, il medico rimane punibile in Italia per l'eutanasia, ossia per la somministrazione diretta di un farmaco letale a un paziente che ne faccia richiesta e anche per tutti i casi di suicidio assistito che non soddisfino i criteri stabiliti dalla Corte. L'eutanasia non è legale in Italia, (lo è in Belgio, Olanda e Lussemburgo) e nel nostro Paese essa è assimilabile all'omicidio volontario con le attenuanti (art. 575 c.p.).  Nel caso si riesca a dimostrare il consenso del malato, le pene sono previste dall'art. 579 (omicidio del consenziente) e vanno comunque dai sei ai quindici anni. Anche il suicidio assistito, nei casi non previsti dalla sentenza, è considerato un reato, ai sensi dell'art. 580. Altro punto da chiarire, riguarda il tema delle disposizioni anticipate di trattamento, ovvero la possibilità che ogni cittadino ha di esprimere la propria volontà nel merito delle terapie e dei trattamenti sanitari che intende o non intende ricevere nel caso in cui non sia più in grado di prendere decisioni per sé o non le possa esprimere chiaramente, per una sopravvenuta incapacità. A dieci anni dalla morte di Eluana Englaro, vengono redatte le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) o Testamento biologico. Si tratta di un testo che prevede consenso informato e facoltà per il paziente di interrompere in ogni momento le cure a cui è sottoposto, compresa la nutrizione e l'idratazione artificiale, anche se ciò non può comportare l'abbandono terapeutico: dunque, è sempre assicurata l'erogazione delle cure palliative. Il medico inoltre dovrà rispettare la volontà del paziente e in conseguenza di ciò viene esonerato da ogni responsabilità civile o penale. Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, tranne se palesemente incongrue, o se non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente e se sussistano terapie che non erano prevedibili all'atto della sottoscrizione. In caso di conflitto, la decisione è rimessa al giudice tutelare.

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