Alla nascita Afrim (il nome è di fantasia) è un bimbo sano, un maschietto di 3,6 kg. È dichiarato sano anche all’atto delle dimissioni, quando i medici dell’ospedale Villa San Pietro di Roma autorizzano i genitori - una coppia di albanesi trasferitisi da poco in Italia - a portarlo a casa. I motivi di preoccupazione arrivano dopo, un po’ alla volta, ed esplodono a partire dal quarto mese di vita: Afrim non solleva la testa, non inizia a gattonare, quindi non impara a camminare, quindi non sviluppa tono muscolare. In sintesi: non sta bene. Era il 2002. Oggi Afrim ha 12 anni ed è invalido al cento per cento: è quasi completamente sordo e cieco, incapace di deambulare se non per brevi tratti (ma mai in maniera autonoma) e di compiere azioni di precisione con le mani, ha ritardi cognitivi. La famiglia, assistita da Obiettivo Risarcimento (società di tutoring per il risarcimento danno nei casi di malasanità), ha citato in sede civile l’ospedale Villa San Pietro: l’origine di tutti i problemi del bambino risiederebbe in una patologia emersa nei primi giorni di vita e non contrastata adeguatamente dal personale medico. La richiesta di risarcimento è pari a poco più di 5 milioni di euro. Se accordata, sarebbe il rimborso più alto mai concesso in Italia. La vicenda giudiziaria è ancora lontana dalla conclusione. L’atto di citazione è stato depositato nel marzo 2011, la conclusione dell’istruttoria da parte del magistrato è venuta lo scorso dicembre, mentre la sentenza definitiva è attesa non prima del 2018. L’ufficio legale dell’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio - Fatebenefratelli (di cui fa parte il San Pietro), intanto, respinge ogni addebito: «I nostri medici hanno operato secondo la letteratura e i protocolli previsti» dicono, «in alcuni casi siamo disponibili a transazioni, ma in questo caso non ci riteniamo responsabili e intendiamo arrivare fino in fondo». La perizia ordinata dal Tribunale di Roma e depositata nel novembre 2010, però, segna un punto a favore della famiglia. Il medico chirurgo nominato dal giudice conferma la tesi dell’accusa: a rendere Afrim invalido è stato un caso di iper-bilirubineria con ittero, cioè l’eccessiva accumulazione del bilirubina (prodotto del catabolismo dei globuli rossi) che ha provocato il danneggiamento dei tessuti cerebrali. «Si ravvisa negligenza e imprudenza nella mancata esecuzione della exanguinotrasfusione nelle prime 48 ore di vita» si legge nella perizia, realizzata in base alla lettura della cartella clinica, «in particolare la condotta attendistica è stata imprudente perché ha favorito l’accumulo della bilirubina nei tessuti cerebrali peggiorando il danno». I medici romani, cioè, avrebbero avuto gli elementi per disporre una trasfusione di sangue nei primi due giorni di vita, ma non solo non l’avrebbero fatto in maniera tempestiva, ma neanche in seguito. Causando la compromissione irreversibile del sistema neurologico del piccolo. La richiesta di rimborso arriva alla cifra di 5,3 milioni «perché non riguarda solo il piccolo Afrim» spiegano da Obiettivo Risarcimento, «ma anche dei parenti più stretti». I genitori hanno compreso che i problemi del figlio non dipendono da questioni genetiche solo nel 2006, quando il padre del ragazzo si è rivolto alla società di consulenza legale per un infortunio sul lavoro. Intanto, però, l’equilibrio familiare risultava già stravolto. La madre, che al momento del parto aveva circa trent’anni, è caduta in depressione. Vive in un alloggio popolare coi primi due figli, nati quando la coppia risiedeva in Albania. Il padre, un muratore nel frattempo rimasto disoccupato per il fallimento dell’azienda che lo impiegava, vive ospite del fratello e si prende personalmente cura di Afrim. Il sostegno percepito dal sistema sanitario nazionale, raccontano, basta appena a comprare i pannoloni. L’uomo si sostituisce alle figure del fisioterapista e dell’infermiere massaggiando le gambe del ragazzo e assistendolo nelle crisi convulsive notturne. Il sogno di trovare una vita migliore in Italia è andato in frantumi da tempo. di Roberto Procaccini