Coronavirus, i medici albanesi a Brescia per aiutare l'Italia? Fine disgraziata: il festino proibito in hotel e lo scandalo
Però, anche noi, che cattivoni. Che ingrati. Se l' avesse saputo prima, forse Edi Rama, il premier albanese, avrebbe usato meno pathos nelle sue parole strappalacrime indirizzate «agli amici italiani». Frasi che hanno toccato il cuore specie quando ha detto: «L' Albania non dimentica. Noi non siamo ricchi ma neanche privi di memoria, dimostriamo all' Italia che l' Albania non abbandona mai l' amico in difficoltà».
Era il 29 marzo e il primo ministro di Tirana ha accompagnato così, con questo aulico discorso, la missione di trenta medici e infermieri spediti qui per aiutare i colleghi italiani alle prese con l' emergenza Covid. Ad attendere «la piccola armata in tenuta bianca» sbarcata all' aeroporto di Fiumicino, un festante Luigi Di Maio a rivendicare il successo di questa armonia tra i due Paesi perché, ha dichiarato il ministro degli Esteri grillino, «la solidarietà che l' Albania dimostra è un valore comune che ha fatto nascere l' Unione europea». Per cui tutti contenti, foto di rito e ringraziamenti.
Ma l' intento nobile del premier Rama non si è concretizzato come sperava. Il team inviato nella Lombardia martoriata dal virus deve avere preso la trasferta un po' sottogamba, più come una vacanza all' estero che come una delicata missione nelle zone focolaio dell' epidemia.
In prima linea in hotel - A Brescia, dove la trentina di sanitari albanesi doveva supportare il personale degli Spedali Riuniti, oberati di casi gravissimi, pazienti intubati e gente più di là che di qua, si vocifera di scarso impegno in corsia: la truppa partita da Tirana si guardava in giro spaesata, più simile ad una comitiva della domenica che a medici in prima linea in rianimazione.
Due del gruppo si sono messi quasi subito in malattia: proprio loro che erano venuti per guarire gli altri, hanno avuto bisogno di assistenza. Che si siano presi il Covid o qualche altra infezione non è chiaro, fatto sta che sono stati costretti a rimanere chiusi nell' hotel di Brescia, ubicato di fronte all' ospedale. Si vocifera che almeno un paio di altri si siano presentati alticci in almeno un' occasione, ma è il finale della missione ad essere stato disastroso: in 9, assiepati in una stanza, a bere birra, cantare, e fare baldoria come una scolaresca quando la prof dorme.
Purtroppo per loro, però, il portiere notturno dell' albergo era sveglissimo e i vicini di camera - altri medici e familiari di pazienti ricoverati - hanno sentito tutto e preteso silenzio.
Non riuscendo a ottenerlo con le buone, è stata chiamata la polizia la quale non era tenuta a sapere del toccante messaggio di Edi Rama né delle relazioni diplomatiche tra Roma e Tirana. Le forze dell' ordine, di fronte ai rigidi decreti di Conte, si sono limitate ad applicare la legge, quella che vieta gli assembramenti e sanziona chi festeggia in barba al virus.
«lasciati andare» - Morale: 400 euro di multa a 9 tra medici e infermieri albanesi pizzicati in camera a brindare. Per 2 di loro è pure scattata una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale perché si sono ribellati urlando al poliziotto: «Ci multate perché siamo albanesi. Siete razzisti». Il giorno successivo, come se niente fosse, il saluto con le autorità lombarde fuori dal nosocomio bresciano. La storia doveva rimanere sotto silenzio per non guastare i rapporti tra Italia e Albania e perché è meglio avere qualcuno che aiuta piuttosto che niente, invece è uscita.
A quel punto il clan di festaioli ha scritto una lettera di scuse in cui ha espresso «rammarico» per l' accaduto. «Nell' albergo in cui eravamo alloggiati ci siamo un po' lasciati andare all' esternazione della nostra soddisfazione per l' opera compiuta e per avuto i risultati negativi del doppio tampone che non impedirà di continuare il nostro lavoro senza renderci conto di avere recato disturbo». L' amicizia è salva.