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Fase 2, medici competenti chiedono chiarezza: "Come scegliere chi rientra in ditta?"

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Sono 4 milioni i lavoratori che questa mattina sono tornati al lavoro. A certificare la loro idoneità sono  i medici competenti. Un popolo di professionisti della sanità meglio conosciuti come medici del lavoro che, pur avendo un ruolo fondamentale nella fase 2 dell’emergenza Covid, sono stati  prima  ignorati e poi inondati  di documenti contradditori.    

Una confusione che ha portato i medici competenti ad alzare la voce e chiedere di essere tutelati. A renderlo noto in un comunicato Monica Colecchia di COSIPS Veneto, il coordinamento sindacale professionisti della sanità che rimarca <<nel DL del 16 marzo e del successivo 24 aprile siamo stati prima ignorati – ammette – e poi rimessi in corsa, con una serie di documenti che vanno  dalla sintesi delle raccomandazioni del ministero a cura della Siml, all'aggiornamento di Confindustria, al vademecum dell'ANMA e, ciliegina sulla torta, le disposizioni della regione Veneto. Tutto ciò potrebbe essere visto come un interesse vero nei nostri confronti,  invece no! Perché ognuno dice la sua e il contrario di quanto viene stabilito da un atto che gerarchicamente dovrebbe essere superiore.>> Una mancanza di chiarezza che oggi, alla riapertura di tante aziende, pesa come un macinio come lei stessa sottolinea << Per la tutela dei fragili, il protocollo condiviso in allegato al dpcm dispone che il medico competente segnali all'azienda situazioni di fragilità, patologie attuali e pregresse,  e questo risulta inapplicabile. Il lavoratore ha facoltà di riferire al medico le sue fragilità in occasione della visita medica periodica. Non si tiene conto che nelle ditte le visite periodiche potrebbero scadere non nell'immediato, in quel caso i fragili non sarebbero visionabili ora, in disaccordo con quanto disposto sia dal dcpm che dalla circolare ministeriale e cioè di occuparsi di fragili alla riapertura delle aziende.  Si potrebbe richiedere una visita straordinaria, ma alla fine di questa,  non sarebbe possibile emettere un giudizio di inidoneità temporanea alla mansione, perché sarebbe obbligatorio emettere un giudizio di idoneità come disposto dal DL 81/08.  Ecco tutte le contraddizioni a cui dobbiamo far fronte senza alcuna tutela! Insomma, ci chiedono di identificare i lavoratori fragili da lasciare a casa in questo momento di emergenza per tutelare loro e gli altri lavoratori, di certificare lo stato di salute di chi ha avuto il Covid ed è guarito, di chi ha avuto solo qualche sintomo e non ha mai fatto il tampone, e degli asintomatici>>. Un ruolo cruciale insomma in una posizione di assoluta precarietà per 6000 medici competenti << Siamo liberi professionisti, ognuno di noi ha in media 1500 aziende da seguire e se prima di questa emergenza il lavoro ordinario era programmato e scadenzato dalle visite di idoneità, di ritorno al lavoro per chi era stato in malattia per oltre 60 giorni, ora ci viene chiesto di verificare la salute di chi rientra in azienda,  ma senza avere le giuste condizioni>>. Proprio la tutela di questi professionisti sembra essere il nodo cruciale del decreto.   

Tre sono  le rivendicazioni dei medici competenti di COSIPS : luoghi idonei dove svolgere la propria attività, tariffario minimo  e dispositivi di protezioni individuale. <<Infatti  - puntualizza Monica Colecchia - se nel decreto si parla di luogo idoneo, dove effettuare le visite, in realtà nella maggior parte dei casi lavoriamo in locali di fortuna, dall’antibagno, agli spogliatoi fino a sgabuzzini e nella migliore delle ipotesi in un ufficio adibito per l’occorrenza ad ambulatorio. Non sono neppure poche le volte che siamo costretti ad improvvisare visite in locali mobili, come camper, dove evidentemente garantire le distanze di sicurezza è impossibile. Tutto ciò in una routine che ci impone chilometri da macinare da un’azienda ad un'altra e dunque essere di fatto gli autisti privati del virus . Senza infermeria e in condizioni igieniche scarse, siamo in prima linea a mani nude>>. Una condizione aggravata anche dalla mancanza dei DPI, i dispositivi di protezione individuale che non vengono riforniti ai medici competenti <<Siamo liberi professionisti, dobbiamo acquistare a nostre spese le mascherine, poco male se non fosse che per ogni visita percepiamo in media 10 euro perché non esiste un tariffario minimo e le società di servizi a cui facciamo riferimento giocano al ribasso con le aziende. Una situazione che alla luce di questa emergenza non è più sostenibile. È giunto il momento di riconquistare la nostra dignità. È fondamentale correggere queste storture per non incorrere in gravi problemi>>. Le conseguenze a cui si riferisce l’esponente di COSIPS Veneto potrebbero essere morali, ma anche di natura penale in quanto esiste un organo di vigilanza a cui spetta il compito di monitorare il lavoro dei medici competenti. << Nessuno lo sa – prosegue nella disamina la dottoressa Colecchia – ma da oggi dobbiamo valutare i fragili, intendendo per tali lavoratori di età superiore a 55 anni o con patologie, fare una visita straordinaria ed emettere un giudizio di idoneità. 

Fino allo scorso 30 aprile questo spettava al medico di base, ora invece la palla è passata a noi con la conseguenza che se riteniamo il soggetto non idoneo questo resta a casa senza stipendio perché la nostra non idoneità al lavoro significa un restare a casa per sei mesi o fino alla fine dell’emergenza senza stipendio, mentre prima il lavoratore era a carico dell’Inps e in caso di non idoneità rimaneva a casa in  malattia>>. Una ipotesi che cambia lo scenario dei lavoratori, ed aggrava la responsabilità dei medici competenti. << Cosa facciamo con i fragili? Li mandiamo a lavorare con misure più restrittive, ad esempio anziché mettere una mascherina chirurgica, una FFp2, ma cosa cambia? Nulla. E la legge sulla privacy? Ce la siamo dimenticata?>> tante domande a cui per il momento non ci sono risposte, così come sembra essere caduta nel vuoto l’obiezione avanzata dalla categoria nel fare i tamponi e i test sierologici ai dipendenti ed utilizzarli come misura per riammettere al lavoro un ex covid o per certificare un immune.  <<Non tanto il tempone quanto il test serve poco per l’idoneità lavorativa – tiene a precisare la rappresentante di COSIPS -  quando saranno validi al 100 percento potremmo utilizzarli, ora non possiamo tenerne conto. Lo stesso vale anche  il tampone,  quando è negativo non è detto che lo sia realmente perché c’è il trenta per cento di probabilità che sia un falso negativo, col rischio che se così fosse, il soggetto potrebbe contagiare altri lavoratori. Il contagio potrebbe essere riconosciuto come infortunio sul lavoro, mentre datore di lavoro e medico competente sarebbero le uniche due figure ad incorrere in sanzioni penali>>.
 

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