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Silvia Romano, la più tragica delle ipotesi: venduta dai masai che dovevano proteggerla dai terroristi islamici?

 Silvia Romano

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Non è in questione la professionalità dei due masai che avrebbero dovuto vigilare su Silvia Romano, ma la loro fedeltà. L'indiscrezione dopo la perquisizione dei Ros nella sede della Onlus Africa Milele, che un anno e mezzo fa ha spedito la 24enne cooperante milanese in Kenya è pesantissima. Secondo il Messaggero, gli inquirenti hanno puntato la loro attenzione sui due uomini di Chakama, poverissimo villaggio nella contea di Kilifi (80 km da Malindi) dove Silvia è arrivata appena 2 settimane prima del rapimento. 

 

 

 

Particolare non secondario nella vicenda, uno dei due masai è il marito di Lilian Sora, la fondatrice della Onlus a cui si era affidata la Romano, che peraltro non era stata inquadrata come "cooperante" ma come "volontaria", un quadro molto più semplice dal punto di vista giuridico e meno vincolante per la Sora. Non convincono, comunque, i movimenti delle due guardie masai. "Qualche giorno prima della mia cattura - ha spiegato la stessa Silvia agli inquirenti - due uomini vennero a cercarmi nel villaggio. Io lo seppi dopo ma il masai che doveva essere con noi non fece nulla su questo episodio". E al momento del rapimento, i due masai erano assenti: "Uno era al fiume e l'altro in giro per il villaggio - sottolina il Messaggero -. Insomma un teatro completamente sgombro che ha permesso ai rapitori di muoversi in totale libertà". E così l'ipotesi che l'italiana sia stata letteralmente venduta ai jihadisti, come sospettavano i poliziotti kenyoti, torna ora di drammatica attualità.

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