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Michele Vario: perché anche nei sogni svaniti non è mai tutto da buttare

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T. Des.
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Esiste ancora il diritto di sognare? Com’è messa l’Italia di oggi in quanto a pari opportunità per un ragazzo che parte dal Mezzogiorno e armato di passione e tanta buona volontà prova a realizzare il desiderio della vita? Una risposta prova a darla Michele Vario, di mestiere insegnante, che nella sua prima fatica letteraria, che ha molti spunti autobiografici, dipinge un quadro a tinte fosche del rapporto tra meritocrazia e mondo del lavoro. 

Nel suo Sogni Svaniti (Planet book, 87 pagine, 12 euro) racconta l’odissea di un giovane che le prova tutte per iniziare la carriera militare. Concorsi su concorsi, esami su esami, speranze tradite su speranze tradite. Ogni volta che “cade” un pezzetto di sogno si sgretola e la realtà di “come funziona davvero la vita” gli si svela nel modo più brutale possibile. A furia di ricevere colpi in faccia capisce che nel mondo esistono “le scorciatoie” e “le raccomandazioni” e che nonostante gli encomi di chi dovrebbe giudicarlo la spunta sempre qualcuno che è più furbo di lui.

Sbagliato generalizzare certo, ma è altrettanto sbagliato non pensare che le vicende della vita reale spesso e volentieri non finiscano così. E comunque non tutto è da buttare, perché a guardare bene, anche nella vita reale, non è mai tutto da buttare. Alla fine della sua lunghissima via crucis, infatti, Michael, il protagonista del racconto,  ci guadagnerà un amico, Charlie. Un’amicizia nata in caserma e nutrita dallo stesso sogno e dalla stesse motivazioni, indossare la divisa della Verde Militare. Ore al telefono a confrontarsi sugli esami più difficili,  lunghe chiacchierate di notte a scambiarsi idee e considerazioni su quello che gli stava succedendo. Micheal e Charlie si sono conosciuti da ragazzi e sono diventati uomini insieme, si sono abbeverati l’uno ai valori dell’altro e adesso dopo 15 anni sono più uniti che mai. E così da un sogno svanito ne è nata un’amicizia indissolubile. Come a dire che la vita è più forte delle sue ingiustizie. O almeno è questo il messaggio positivo che ci vogliamo vedere noi.

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