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Ucraina e legione straniera, gli italiani volontari bloccati dal governo: "Vietato combattere a Kiev"

Gianluca Veneziani
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Si dichiarano aspiranti combattenti nella Legione straniera o nella Brigata internazionale. E, con questa aspirazione, si sono radunati ieri davanti alla sede del consolato ucraino di Milano, attirati dall'appello, una chiamata alle armi in senso letterale, del giorno prima con cui la sede diplomatica di Kiev in Italia si diceva disposta a reclutare «aspiranti legionari». Tra centinaia di scatoloni accatastati e pieni di beni di prima necessità, vestiti, cibo e farmaci - testimonianza di uno sforzo enorme di solidarietà da parte dell'Italia - vedevi uomini di diverse nazionalità, pronti a lasciar tutto e imbracciare le armi per aiutare il popolo ucraino. Il loro movente ideale, stare dalla parte di chi subisce un'invasione, si coniuga a uno spirito pratico che li porta a definire nei dettagli il loro impegno al fronte. Ecco allora tre sikh italiani originari della regione del Punjab, Singh Jaswant, Singh Jagroop e Singh Gurpal, due di loro con turbante blu e uno con turbante giallo per omaggiare la bandiera ucraina, presentare una lettera al consolato, sottoscritta a nome del gruppo di avvocati Sikhs for Justice, con cui dichiarano la disponibilità dei combattenti del Punjab ad arruolarsi con il Reggimento Sikh, per contribuire a formare una «Legione Internazionale perla Difesa dell'Ucraina». Il loro appello si lega al principio di difendere i popoli vessati, di cui loro stessi si sentono rappresentanti. «Il Punjab», ci dice Jaswant, «da anni chiede l'indipendenza dall'India e invoca a riguardo una risoluzione Onu. La nostra terra merita di essere difesa dalla comunità internazionale così come l'Ucraina. Per questo ci schieriamo a favore del popolo ucraino».

 

 

Con la loro presa di posizione i tre ravvivano una tradizione guerriera che i sikh vantano da decenni: mentre parliamo con loro, ci porgono un libro in cui sono ricordate le prodezze dei soldati del Punjab nella Prima e Seconda Guerra Mondiale, «sempre dalla parte dell'Occidente e della libertà». Ma tra le decine di persone che si ritrovano davanti al consolato, per donare cibo e abiti o informarsi sulla possibilità che un parente in arrivo dall'Ucraina possa godere dello status di rifugiato, vedi anche giovani ucraini da tempo in Italia che, mossi da amor di patria e desiderio di riscatto, vogliono tornare nella loro terra a combattere. Trovi così Danika, 21 anni, fisico esile e cappellino in testa, con un'adolescenza difficile alle spalle, che intende l'arruolamento come un'occasione di redenzione. «È una cosa giusta fare. Io voglio tornare per aiutare il mio Paese. In passato ho già usato le armi ma... è meglio usarle per andare in guerra che per andare in carcere», ci dice alludendo ai suoi anni turbolenti.  «E poi», continua , «non vedo il mio Paese da 15 anni, lì vive anche mia mamma...». La difesa della madre terra passa anche dal desiderio viscerale di riabbracciare la propria madre.

 

 

SENZA PAURA
Se è nobile l'ambizione a difendere il luogo in cui si è nati o il sentimento di affinità con un altro popolo vessato, è ancora più ammirevole la disponibilità a lasciare il benessere di occidentali per andare lì a rischiare la pelle. Merita perciò un plauso la volontà di Christian, milanese 45enne, di dare un contributo con braccia e armi agli ucraini. «Ho lavorato in diverse agenzie di sicurezza private e le armi le so usare», ci racconta. «Ho deciso di arruolarmi quando ho visto una bimba ucraina nascere nella metropolitana dove la mamma si era rifugiata. Perché a quei bambini deve essere tolto il futuro? Per colpa di un pazzo che pretende un pezzo di terra? Come me la pensano altri 50 miei colleghi, che sarebbero pronti a partire. Io non ho paura di combattere: vivere con la paura è come non vivere». Tutti questi nobili slanci sono stati però tarpati dal nostro governo che non prevede la possibilità, sulla base delle leggi vigenti, per dei cittadini volontari di andare a combattere in un altro Paese. «Abbiamo ricevuto chiarimenti dal ministero degli Esteri», ci fa sapere un funzionario del consolato. «E questa cosa non si può fare». Peccato, stavolta sarebbe stato il caso di prendere esempio daPaesi come la Svezia, dove 400 cittadini sono entrati nella legione internazionale, o l'Inghilterra, dove con la benedizione del premier Johnson numerosi cittadini hanno già scelto di arruolarsi per l'Ucraina. Certe volte, è la lezione, la legge deve avere delle eccezioni... 

 

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