Setta, branco e fanatismo: perché è così facile caderci

di Marco Petrelli venerdì 4 marzo 2022
 Setta, branco e fanatismo: perché è così facile caderci
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Le cronache degli ultimi tempi ci parlano di violenza di gruppo, bullismo, cyberbullismo, emarginazione, appartenenza al “branco”, disagi giovanili (e non solo giovanili). Tematiche delicate che sembrano essere esplose con la nuova generazione di Instagram e di Tik Tok, in realtà figlie dell’intera storia dell’Uomo. Ed oggi solo più visibili grazie ai social network. 

Chi scrive non è uno psicologo, semmai un osservatore con il pessimo vizio di porsi domande. E di provare a dare ad esse una risposta. Far parte di una gang, di un branco o di un gruppo violento che dir si voglia è molto più facile di quanto si creda. Lasciate stare le origini familiari: sì, un contesto critico, di tensioni e di indifferenza verso i figli, può incentivare comportamenti nocivi a se stessi e agli altri. Ma scordiamoci l’idea che alle gang appartengano solo i “problematici”… 


L’Uomo infatti è un animale sociale e cerca, per natura, di circondarsi di altri suoi simili: compagnia, due parole, scambio di opinione. Il gruppo aiuta a crescere e a confrontarsi, a sviluppare una personalità e ad interagire. Il problema arriva quando il gruppo assume connotati settari: un movimento religioso, una curva calcistica, un’associazione politica, i ragazzi del bar sotto casa possono diventare luogo di isolamento specie per chi è meno sicuro di sé e meno avvezzo a ragionare con la propria testa. 

In queste realtà spicca sempre la figura di un leader, che si impone con il beneplacito di alcuni e il conveniente silenzio di altri. Non sempre è un capo nato, spesso è un individuo profondamente insicuro ma capace di vendere un’immagine di sé vincente. Le parole ed i modi fanno colpo sulla platea e vincono le resistenze dei più timidi, dei più corretti, di quelli abituati a non nascondere i propri difetti, ad essere trasparenti. 

Un bluff, quindi, che può andare in scena ovunque, anche nei luoghi di lavoro: accentratore, poco incline al confronto, di rado sincero, il leader è talvolta un abile manipolatore che fa leva sull’onestà e sull’ingenuità altrui per accrescere il suo io. 

A tutti piace comandare, perché essere ipocriti? Numero minore però sono quelli davvero capaci di cogliere il senso del comando: oneri e responsabilità, prima ancora che onori. 

A completare l’ars oratoria del (presunto) leader, c’è una parte dell’individuo che lo spinge ad accettare un certo stato di cose. Quando si approda ad un gruppo può accadere che si è segnati da un trascorso recente fatto di delusioni, isolamento e paure che pare svaniscano nell’essere “comunità”. In vero, stiamo solo scappando dal reale, cercando disperatamente risposte negli unici luoghi in cui le risposte non possono esserci date. 

D’altronde, il nostro leader ha l’ unico interesse di spersonalizzare i membri del gruppo, eliminando qualunque legame o distrazione possa allontanarli da lui e dalla sua influenza. 

E, sovente, manchiamo di accorgerci del pericolo anche sbattendoci contro il “muso". La Società tende infatti ad etichettare più che a scomporre ed ad analizzare la realtà. 

Dunque, se gli scopi propugnati da un’associazione culturale, religiosa, civile sono avvertiti all’esterno come nobili nessuno andrà mai a chiedersi cosa vi accada all’interno. 

Sì, perché la manipolazione -  quando avviene - è grave tanto in una baby gang quanto in un movimento pacifista o di rinnovamento spirituale. Parliamoci chiari: se il fine sono il bene, l’amore, la pace perché pensare che possano avvenire eventuali manipolazioni degli attivisti? 

Posso portare un esempio personale. Nella mia scuola, periodicamente, si facevano vive persone invitate a parlare ai “giovani”. Ecco, giovani: una definizione anzi, una etichetta che non mi è mai piaciuta, neanche si parlasse di una massa omogenea, tutti uguali e tutti che pretendono di dissertarne. 

I relatori appartenevano ad associazioni culturali e religiose, talvolta invitati dagli stessi insegnanti-militanti. Un modo per veicolare messaggi peace and love? Sì, ma anche per fare “calciomercato” fra gli studenti.  

Le parole rivolteci erano spesso slogan: “siete il futuro”, “a voi la salvezza del mondo”, “la cultura è importante”, “studiate e non fatevi manipolare”. 

Frequentarli dall’interno, anche solo per curiosità, rimetteva tutto in discussione. La figura-leader (di solito lo stesso che aveva parlato a scuola) era trattata manco fosse un “tuttologo”. Ogni tentativo di confrontarsi con lui o di trattare qualunque argomento non riguardasse la comunità era velocemente liquidato. 

Sorrisi, qualche chiacchiera, un “noi la pensiamo così” e venivi automaticamente isolato. Informarsi, sapere, avere cultura poteva avere importanza se funzionale alla comunità, altrimenti buon per te. Forse, per loro, essere colti voleva soltanto dire avere una buona media scolastica…

Ciò che emergeva, però, era la semplicità di questi leader, individui che pretendevano di sapere tutto degli altri senza neanche capire che gli altri sono fra loro diversi e che magari provengono da vissuti differenti. E circondati da persone altrettanto semplici ma assolutamente convinte del “bene” che la loro comunità avrebbe apportato alla Società ed, in particolare, ai giovani. 

Un ex combattente della Guerra civile ricordava che “a 16 anni la prudenza è una vigliaccheria ed il coraggio un obbligo”. E a 16 anni è difficile pensare si possa essere in malafede. Figuriamoci a 14 e a 13 tanta è l’età dei ragazzini che i servizi di cronaca ci mostrano fumare, bere, assumere droghe o partecipare a raid punitivi. Delinquenti? Alcuni, molti altri sono soltanto lasciati a sé. 

Il problema risiede infatti nella mancanza di figure solide, credibili. Della famiglia, insomma: parte degli adulti sembra essere più immatura dei figli che, a loro volta, cercano all’esterno riferimenti che possano sopperire quel vuoto. 

Il gruppo può essere la risposta, ma a fare la differenza sono il carattere del singolo ed il suo retaggio famigliare. Certamente, chi ha attraversato un periodo di indifferenza, conflittualità, disinteresse da parte di babbo e mamma o, nel caso opposto, eccessivi ingerenza ed autoritarismo manca di quella fiducia e di quelle basi necessarie a valutare la realtà in modo distaccato. Ed è esposto al maggior rischio di cadere nel pericolo di una manipolazione. A prescindere dagli scopi del gruppo perché manipolare, è giusto ripeterlo, è di per sé assolutamente sbagliato.