Cassazione sul "non consenso"
Il malato può rifiutare le cure
Genova - Diritto alle cure per il malato ma anche diritto arifiutarle qualora il paziente, per ragioni ideologiche o di altro tipo,dissenta. Farà certamente discutere la decisione a cui sono giunti i giudicidella Cassazione con la 23676 della terza sezione civile, nella quale si ribadisceche deve essere "riconosciuto al paziente un vero e proprio diritto di noncurarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio di morte". I medici,come previsto dal codice di deontologia medica e dal documento del comitatonazionale per la bioetica del 1992, devono astenersi dal somministrare alpaziente incosciente le cure dalle quali quest'ultimo dissente. Esiste,ricordano gli Ermellini, la possibilità per il malato di firmare un “nonconsenso”, che deve però essere contenuto in una "articolata, puntuale,espressa dichiarazione dalla quale inequivocamente emerga la volontà di nonricevere determinate cure”. Qualora poi qualora il malato non abbia con sé lasua dichiarazione di contrarietà a determinate pratiche mediche, ha comunque lapossibilità di far valere la sua volontà attraverso la nomina di una personaindicata come "rappresentante ad acta". Tutto nasce dal ricorso di un testimone di Geova, contrario a riceveretrasfusioni di sangue in caso di pericolo di vita. A Mirko G, questo il nomedel testimone, nel gennaio del 1990 erano state praticate una serie ditrasfusioni di sangue nell'ospedale di Pordenone, dove era stato trasportato incondizioni di incoscienza e in pericolo di vita. Mirko aveva con sé uncartellino con la dicitura “Niente sangue” ma i medici non lo presero inconsiderazione, ritenendo che quella semplice scritta non potesse avere unvalore concreto perché serviva un consenso "chiaro, attuale,informato". Il punto di vista dei medici è stato condiviso dalla corted'appello di Trieste, oltre che dalla Cassazione. Mirko, che però dalletrasfusioni è stato contagiato con il virus dell'epatite B, otterrà ilrisarcimento per l'insorgenza del virus.