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Francesco Vaia, l'appello: "Stop al bollettino dei morti di Covid"

Pietro Senaldi
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«L'aumento dei decessi da Covid non mi preoccupa affatto. In questo momento non vi sono assolutamente elementi di allarme, con buona pace di chi continua a terrorizzare e a profetizzare sciagure, facendo un danno incalcolabile al Paese, soprattutto ai più giovani. La curva dei casi indica che l'ondata sostenuta dalla variante Omicron BA.5, predominante, è ancora in corso, ma non si assiste a un impatto significativo in termini di malattia grave. Nello stesso periodo dell'anno scorso, quando eravamo in piena ondata Delta, tutti gli indicatori di malattia grave (ospedalizzazioni, terapie intensive) erano più elevati. Non ci sono neppure segnali di forte pressione sulle strutture sanitarie, come in altri periodi della pandemia».

Chi sono i morti oggi e quanti di loro muoiono effettivamente per il Covid e non invece per altri motivi ma da positivi?
«Questa fase interessa una popolazione più anziana di circa dieci anni rispetto al 2021 e più affetta da patologie concomitanti. La malattia grave la vediamo ormai quasi esclusivamente in chi ha rilevanti fattori di rischio, nei fragili e negli anziani. E molto spesso, vorrei sottolineare, si tratta di persone la cui gravità clinica non è determinata tanto dal Covid, ma più dal loro quadro morboso di base. Questo il nostro osservatorio su casi reali. È tempo di fare una analisi coraggiosa. In Scozia l'hanno fatto, ad esempio, ed è stato stimato che circa la metà delle morti in persone infettate dalla variante Omicron non fosse dovuta a Covid».

Significa che sarebbe il caso di cominciare a conteggiarli diversamente?
«Non è semplice, ma dobbiamo provarci. Il bollettino quotidiano con quel tipo di dati, che oggi sono per forza di cose poco precisi nel delineare il quadro clinico reale, va eliminato. A cosa serve, siamo onesti , se non a mantenere quello stato di angoscia che tanti guasti ha procurato? Pensiamo al tasso di suicidi, che è aumentato in maniera davvero preoccupante, soprattutto nei giovani. Lo dico chiaramente: chi ritiene che questa comunicazione vada mantenuta fa tanto male al Paese».

Francesco Vaia è stato, fin dall'inizio dell'epidemia, una delle voci più autorevoli e rassicuranti in materia di Covid. Il direttore sanitario dell'Istituto di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, pur riconoscendo ai vaccini «il ruolo decisivo per uscire dall'emergenza», ha sempre mostrato perplessità per gli eccessi di obblighi e divieti, ravvisando in alcuni estremismi una posizione anche ideologica.

 

 

 

Professore, che inverno ci aspetta sul fronte Covid?
«Non mi avventuro mai in previsioni se non quelle dettate dal buon senso, che ci dice che autunno e inverno sono le stagioni che classicamente e per ovvi motivi favoriscono il proliferare delle malattie respiratorie, tuttavia ritengo difficile che si possa ritornare a una situazione simile a quella del novembre 2021. Anche le nuove subvarianti, che vengono ipotizzate o annunciate come a breve dominanti (e che in Italia ancora non ci sono o circolano già da un po' in modo limitato), sono tutte figlie della grande famiglia di Omicron, quindi in qualche modi prevedibili nei loro esiti».

Cosa ci può dire di quest' ultima variante? Quanto è letale e quanto è contagiosa?
«La sottovariante di Omicron che sta caratterizzando questa ondata, la Omicron 5 o BA.5, che si è affermata in estate, è al momento una delle più trasmissibili, con una capacità di sfuggire all'immunità naturale e vaccinale superiore rispetto alle varianti precedenti, anche in persone vaccinate in terza dose con vaccino con virus originario. Può reinfettare persone già infettate con varianti precedenti (Wuhan, Alfa, Delta), ma anche coloro che si sono infettati all'inizio di quest' anno con sottovarianti di Omicron come BA.1 o BA.2.
Detto questo, non è assolutamente legata a una maggiore gravità e letalità».

Come mai solo il 7% degli italiani ha fatto la quarta dose? Quanto serve farla e a chi serve?
«Argomento veramente dolente, frutto di vari fattori. Il più importante è la fatica psicologica della vaccinazione ripetuta, che nasconde attese miracolistiche indotte in maniera sbagliata da una campagna di comunicazione errata e che la popolazione non ha percepito, considerazione confermate dai risultati della campagna vaccinale. La prima cosa che il cittadino vede e ti chiede è: come mai mi sono vaccinato con la terza e quarta dose e mi sono comunque ammalato? Vi sono stati indubbiamente errori nella comunicazione; primo fra tutti, aver insistito troppo sulla capacità dei vaccini di proteggere dall'infezione, che si è invece rivelata bassa. Andava detto chiaramente che l'obiettivo della vaccinazione, come avviene in altre malattie virali tra cui la stessa influenza, è proteggere la popolazione vaccinata dalle complicanze gravi della malattia. E su questo i risultati della campagna vaccinale sono stati indiscutibili».

Ha pesato anche un condizionamento stagionale?
«In merito alla quarta dose in particolare, la corsa alla dose estiva come improbabile strumento per controllare l'ondata attuale BA.5, che non era possibile contrastare in questo modo, ha anche pesato negativamente sulla bassa percentuale di adesione. Bisognava insistere, come pur avevamo detto, che si doveva andare, in presenza di una endemicità della pandemia e di una bassa gravità, verso una dose annuale di richiamo, e non dare la sensazione di prevenire l'infezione, tra l'altro non con grandi risultati, con una campagna che sostanzialmente portava a una vaccinazione sempre più ravvicinata nei tempi fino ad arrivare - uso un'immagine iperbolica ma efficace tipo "vaccino e cappuccino" - fino ad arrivare all'"usciamo di casa e proteggiamoci con il vaccino". Assurdo, ma la popolazione l'ha percepito così. Un danno enorme, perché così si è messo in discussione lo strumento, efficace, con un suo uso distorto che ha creato sconcerto anche in chi vi ha sempre creduto e tanti dubbi e dietrologie».

 

 

 

Forse pesa anche il fatto che gli italiani ormai non hanno più paura del Covid...
«Perché hanno capito che questa non è più la malattia di Wuhan, delle prime ondate. Penso sia passato il messaggio che la vaccinazione di massa ha alzato il muro delle nostre difese contro la malattia grave, e lo sviluppo di farmaci e monoclonali ci ha insegnato come gestire le risorse e conoscenze scientifiche al servizio della salute. E questi messaggi la popolazione li ha compresi e interiorizzati. Ma bisogna fare buon uso del consenso e della fiducia della gente, che non va illusa e che non va trattata come il popolo ignorante da educare».

Qual è l'errore che ha fatto il governo Draghi sul Covid che il governo Meloni non deve ripetere?
«Gli errori principali sono stati nella comunicazione, ma sinceramente non credo che siano stati i governi a farli o a determinarli. La politica deve tornare ad essere protagonista, ad assumersi le responsabilità di governo , e ovviamente risponderne al cittadino, deve arruolare il meglio della società ed avere l'umiltà di ascoltare i buoni consigli dei tecnici. Ma la politica deve governare ed orientare, decidere, non può più solo annunciare che abbiamo un problema, ma anche declinarne in modo chiaro la soluzione ed affidarla ai funzionari, cosi come la comunicazione».

I ragazzi sono tra coloro che hanno pagato il prezzo più alto: cosa si può fare per loro?

«Rassicurazione, assecondare il ritorno alla normalità, anche perché nei ragazzi la malattia non è quasi mai grave. Servono interventi strutturali nelle scuole e bisogna evitare di ripetere errori tipo quello di aver pensato la campagna vaccinale negli adolescenti come strumento per proteggere gli anziani o aumentare l'immunità di gregge. Parlando di errori, questo sicuramente non è stata una lettura felice della realtà epidemiologica e degli obbiettivi cui legare misure di sanità pubblica. Per esemplificare: mai più Dad, e mettiamo i nostri ragazzi in luoghi sicuri».

Con il nuovo governo difficilmente avremo chiusure obbligatorie e Green Pass: giusto o sbagliato?

«Direi che sono misure legate a fasi della pandemia che difficilmente ritroveremo di nuovo. Anche perché basate su interpretazioni e convinzioni, scientifiche e di sanità pubblica, che non hanno più grandi fondamenti in base alla evoluzione che la spessa pandemia ha avuto. Il Green Pass appare illogico in un contesto in cui il vaccino non si è dimostrato, come lo è in era Omicron, protettivo nei confronti del contagio. Ma questa evoluzione di scenario e delle misure più appropriate per contrastare la pandemia bisogna avere il coraggio di recepirle, adeguando decisioni e strumenti agli scenari nuovi. Non riproponendo vecchie ricette e soluzioni che non hanno oggi più grande rispetto nell'evidenza dei dati scientifici».

C'è stato furore ideologico nella criminalizzazione dei no vax?

«L'ostracismo verso la vaccinazione è posizione sbagliata e condannabile. Il vaccino ha avuto un impatto forte sulla mortalità e ha contribuito in modo determinante a modificare le caratteristiche della pandemia, generando una attenuazione e favorendo l'adattamento del virus all'ospite umano. Che è poi la lunga strada per uscire definitivamente dal tunnel. Bisogna essere molto chiari e dire che senza i vaccini non ce l'avremmo fatta. Detto questo, criminalizzare non ha senso. Osi come non ha senso oggi l'obbligatorietà, sulla quale ho sempre nutrito perplessità. Io credo che noi dobbiamo spiegare, bene, e convincere. Questa la strada maestra. Le posizioni sbagliate vanno combattute con la ragione, l'educazione scientifica, ma anche con la coerenza, la chiarezza, la persuasione. Non con il catastrofismo dei profeti di sventura».

 

 

 

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