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Van Gogh sfregiato, gli eco-imbecilli vogliono diritti senza responsabilità

Fausto Carioti
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Davanti alle quattro invasate che hanno imbrattato il quadro di Vincent van Gogh esposto a Roma, urlando i soliti slogan sconnessi contro l'uso dei combustibili fossili e il cambiamento climatico, la prima tentazione è quella di fare un discorso alto. Magari partendo da quel Roger Scruton citato in parlamento da Giorgia Meloni. Il filosofo inglese spiegava che «il conservatorismo nasce dal sentimento, che tutte le persone mature possono perfettamente condividere, secondo cui è facile distruggere le cose buone, ma non è facile crearle», e che questo è «particolarmente vero per le cose buone che ci arrivano sotto forma di patrimonio collettivo» e che abbiamo il dovere di trasmettere a chi ancora non è nato. Vale per la pace, la libertà, le leggi e le istituzioni (quando funzionano), la sicurezza e il senso civico. Ma anche per l'ambiente, che non è un'ideologia, bensì una parte importante di quel patrimonio, fatta di parchi, alberi, paesaggi, animali, edifici tramandati da generazioni. Cose che perdono significato quando (dice sempre Scruton) «l'attenzione del mondo è rivolta al riscaldamento globale, ai cambiamenti climatici, alle estinzioni di massa e allo scioglimento delle calotte polari, tutte questioni fuori dalla portata di qualunque governo nazionale», che hanno come risultato «una perdita di fiducia nella politica normale, la disperazione di fronte all'incapacità umana e l'adozione fino all'ultimo sangue di programmi internazionalisti radicali».

 

 

 

E vale pure per le opere d'arte, che sono il disperato tentativo dell'uomo di capire l'essenza delle cose e avvicinarsi al sacro. A maggior ragione per quelle che non abbiamo fatto noi, ma abbiamo avuto in regalo dai grandi del passato, prendendo insieme ad esse la responsabilità di consegnarle a chi verrà dopo, che significa proteggerle sempre e restaurarle quando necessario. Se conservare per tramandare è l'etica del conservatore, fatta innanzitutto di piccoli doveri individuali e quotidiani, quella che si è vista a Palazzo Bonaparte è l'etica progressista dei grandi dogmi e delle pretese collettive, sganciata da ogni senso del dovere. L'idea di un futuro senza passato, in nome del quale è giusto sacrificare il benessere presente e il patrimonio che abbiamo ereditato.

 

 

 

L'ennesimo disastro prodotto dalla religione dei diritti senza responsabilità. Quella che spinge i suoi zeloti a paralizzare in segno di protesta il raccordo anulare e altre vie di comunicazione, fregandosene se tra chi rimane bloccato c'è un malato che deve correre al pronto soccorso, un chirurgo atteso in sala operatoria o anche un povero cristo che per colpa loro arriverà tardi al lavoro o perderà l'aereo: cosa sono simili piccolezze, o la rovina di un quadro di van Gogh, dinanzi all'Apocalisse climatica? Un culto laico che ignora la presenza e le convinzioni del prossimo e i doveri che ne derivano, stesso ceppo da cui nasce la presunzione che tra le libertà inviolabili rientri quella di invadere la proprietà privata di uno sconosciuto per ballare e drogarsi, riducendola a un letamaio. Ma parlare di Scruton, etica e limiti alla libertà è un'ambizione smisurata, rispetto all'idiozia che è andata in scena ieri. Il lettore cancelli pure tutto quello che ha letto sinora, che si poteva scrivere molto meglio in poche parole: quelle quattro ragazze sono delle misere ignoranti che non sanno ciò che fanno, ma non per questo meritano perdono. 

 

 

 

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