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Libertà solo con patria e tricolore: il compito della destra

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Corrado Ocone
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In uno Stato normale la Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera, che si festeggia il 17 marzo, dovrebbe essere un momento importante per la consapevolezza dell’identità comune e cioè dei valori ultimi che cementano una comunità. In Italia passa invece quasi sotto silenzio, ricordata giusto in qualche comunicato ufficiale istituzionale o in qualche sparuta scuola dello Stivale. Non è un caso, ovviamente. Se è vero che in questa data nel 1871 l’Italia nasceva come Stato unitario, fra l’altro in ritardo rispetto a quel che era accaduto nelle altre nazioni europee (Germania esclusa), altrettanto vero è che quello degli italiani fu da subito un “noi diviso”. Le numerose fratture che attraversano il Bel Paese, geografiche e culturali, economiche e sociali, facevano gli italiani gli uni diffidenti rispetto agli altri. L’Italia liberale fece del meglio per unificare il Paese attraverso un governo dirigistico che dall’alto impose un’amministrazione e un’istruzione pubblica comuni. L’ideale federalista, da cui discende in ultimo l’attuale battaglia per l’ “autonomia differenziata”, forse avrebbe raggiunto meglio lo scopo, unendo ma anche tenendo conto delle inevitabili diversità. Fu però presto accantonato.

 

 

 

Fu comunque nelle trincee della Prima guerra mondiale che gli italiani cominciarono a riconoscersi come un popolo e una “comunità di destino”. L’ingloriosa fuga del re, alla fine della Seconda guerra mondiale, avrebbe poi segnato la “morte della Patria”. Una morte che venne poi confermata dal prevalere nella prima Repubblica di due ideologie, il cattolicesimo politico di sinistra (dopo De Gasperi) e il marxismo, che facevano riferimento a ideali universalistici. Furono soprattutto i comunisti a conquistare il mondo dell’immaginario comune e a diffondere l’idea, che è poi diventata un luogo comune nella borghesia semicolta sedicente “riflessiva”, che la Patria fosse un ideale “fascista” e che la Nazione sfociasse necessariamente nel nazionalismo aggressivo e nell’imperialismo.

 

 

 

Si buttava in un cestino la realtà storica: il costituzionalismo liberale si è forgiato in comunità politiche ben consapevoli della loro identità nazionale e Patria è un concetto che nasce a sinistra, nella Rivoluzione francese. I comunisti hanno difeso la Costituzione, ma solo in quanto espressione di una “democrazia progressiva”, cioè come momento dell’inesorabile passaggio ad un sistema socialista. Al comunismo oggi si è sostituita, a sinistra e nell’immaginario borghese comune, la cultura woke e il “politicamente corretto”, la cui ideologia riposa in un ideale globalista di uomo sradicato e senza identità, fluido, cosmopolita, senza una nazionalità ma “cittadino del mondo” à la Elly Schlein. È un ideale che del vecchio comunismo conserva l’idea di voler “raddrizzare il mondo” e “correggere chi sbaglia”, cioè semplicemente chi la pensa diversamente. E che perciò vuole fare reset di tutto ciò che è stato ed è, frutto dei sacrifici dei nostri padri (una parola che ha la stessa radice di Patria). Un uomo facilmente plasmabile e manipolabile dai poteri, da tutti i dispositivi di controllo e sorveglianza (Cina docet). Attorno all’idea di Patria e attorno al tricolore si gioca una partita importante per la nostra libertà. La destra al potere ne è consapevole, ma non dobbiamo nasconderci che, dopo anni di predominio culturale della sinistra, la strada è tutta in salita. 

 

 

 

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