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Secchia, si tuffa nel fiume per un video e non riemerge più

Caterina Maniaci
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Dopo cinque giorni di ricerche, è stato ritrovato il corpo di Yahya Hkimi, il 18enne scomparso nel fiume Secchia a Marzaglia: mentre si tuffava il ragazzo era stato filmato da un amico, che ha raccontato ai soccorritori che Yahya stava fingendo di essere trascinato dalla corrente. Vi proponiamo il pezzo di Caterina Maniaci su Libero in edicola oggi, domenica 18 giugno, con la cronaca di quanto accaduto.

La follia del selfie a tutti i costi, della ripresa estrema per fare il “botto” con le visualizzazioni nei vari social, colpisce, dilaga, sembra non arrestarsi. Trasforma in ansia e tragedia anche quello che comincia come un innocuo pomeriggio passato sulla riva di un fiume a base di scherzi e nuotate. Come è successo a Yahya Hkimi, scomparso qualche giorno fa in modo drammatico nelle acque del fiume Secchia dopo essersi tuffato in un punto nel quale la corrente era particolarmente forte, in località Marzaglia, in provincia di Modena. L’amico del 19enne disperso ha ripreso tutto con lo smartphone.

«Mi ha chiesto di fare un video. Un filmato scherzoso dove voleva fingere di essere portato via dall’acqua. Poi, dopo il tuffo, il terzo della serie, purtroppo è scomparso», ha poi raccontato l’amico fraterno di Yahya, risucchiato dalle acque del fiume, ormai da tre giorni. Le ricerche, da parte dei pompieri, vanno avanti senza sosta e nonostante tutto la speranza dei familiari, che mai hanno lasciato il luogo dell’incidente, rimane quella di poter riabbracciare il figlio, magari ferito, ma vivo.

 

DEVIAZIONE
Le immagini sul cellulare dell’amico del giovane scomparso, un minorenne, mostrano sia il tuffo che la scomparsa. Video utile ai vigili del fuoco per identificare l’esatto punto della sparizione. Ma anche testimonianza eloquente della “febbre da selfie” che ha condotto il ragazzo anche a sottovalutare il rischio di gettarsi in acque percorse da una forte corrente, anche a causa del recente maltem po.

Per cercarlo sono state messe in campo venti unità dei vigili del fuoco con i sommozzatori del nucleo di Bologna, squadre fluviali composte da unità di Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza, in sorvolo l'elicottero Drago del Reparto volo di Bologna e i piloti SAPR dei droni. È stato anche deviato il corso del fiume nel punto in cui lo studente è scomparso dopo l’ultimo tuffo, ma non si è ancora segnalato alcun risultato nelle ricerche.

NUOVE SENSAZIONI
Tutto questo mentre è ancora vivo lo choc di quanto è accaduto a Casal Palocco, la morte di un bambino in un incidente provocato da alcuni youtuber. Ormai gli esperti parlano chiaramente di kilfie, o selfie killer, che dilaga in tutto il mondo: si calcola che soltanto tra il 2011 e il 2021 siano morte 400 persone, una ogni dieci giorni, nel tentativo di scattare una foto “estrema”, per fare presa sul popolo del web. E i numeri non sembrano allarmare chi continua a fare di tutto pur di imprimere nel telefonino una immagine che “conta”.

 

Si parla di “sensation seeking” il bisogno di cercare nuove sensazioni, nuove situazioni emotivamente forti e particolarmente intense, anche a scapito della propria vita o quella di altri. Spesso si tratta di comportamenti impulsivi, che implicano una mancata o scorretta valutazione del rischio di pericolosità, ma la maggior parte delle volte sono condotte ricercate intenzionalmente, per sperimentare adrenalina e sensazioni forti. Nel mondo negli ultimi anni ormai si contano a centinaia di “morti per selfie”, persone cioè che hanno perso la vita per incidenti mentre cercavano di scattarsi una foto “estrema”.

Si moltiplicano studi specifici, analisi di dati e statistiche. Ragazzini che passeggiano sulle rotaie in attesa di un treno per filmare fino all’ultimo minuto – li hanno segnalati in Lombardia, nei mesi scorsi, a Rho, Arona, Melegnano – o che cadono dai tetti pericolanti di capannoni, come è capitato ad un quattordicenne nel trevigiano.

ADULTI
Non solo adolescenti, ma anche adulti, che si fotografano mentre si buttano da un aereo, in una macchina in corsa, come è successo a Fabio Provenzano, 34 annidi Partinico, nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2019 la sua Bmw a 140 chilometri all’ora, con una mano sul volante. Nell’altra aveva uno smartphone per fare selfie e trasmettere una diretta Facebook. Senza cintura di sicurezza, con lo sguardo sempre puntato sullo schermo del telefonino per controllare bene l’inquadratura, perché, in fondo, è tutto ciò che conta per fare colpo, mica la sicurezza dei bambini... Nel video di pochissimi secondi si vede Provenzano che si riprende dal basso mentre l’auto schizza ad alta velocità. L’impatto è terribile e provoca la morte dei due bambini. Il padre, ricoverato per le ferite riportate, se l’è invece cavata. Adesso per lui c’è la sentenza di condanna definitiva a 4 anni ed 8 mesi per omicidio stradale.

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