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Bimbo morto alle terme, la svolta: cos'è successo davvero in piscina

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Claudia Osmetti
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Più che uno sfogo, suona come una denuncia. E arriva da uno dei bagnini delle piscine alle Terme di Cretone, a Palombara Sabina, in provincia di Roma. Quelle in cui, la settimana scorsa, ha perso la vita il piccolo Stephan, il bimbo russo di otto anni che giovedì è rimasto incastrato nella conduttura di scarico di una vasca. «Ci dicevano di sbrigarci», racconta il bagnino, che tra l’altro ha appena diciotto anni, «perché non volevano pagare gli straordinari. La piscina doveva essere vuota entro le otto, per questo non c’era la grata: perché così finivamo prima». Al momento, sulla scrivania della procura di Tivoli, per la morte di Stephan, c’è un fascicolo aperto.

Omicidio colposo, recita il faldone che contiene anche l’iscrizione di quattro indagati, due amministratori e due giovani bagnini, un ragazzo ventenne e quello che racconta, agli inquirenti, gli ultimi dettagli sulla vicenda. «Io», sostiene, «quella grata non l’ho mai vista». È un giovanotto neo maggiorenne che si è trovato un lavoretto estivo, per racimolare qualche spiccio in vista del nuovo anno scolastico: «Sono sicuro che in acqua non c’era più nessuno, quel pomeriggio. Erano tutti dietro la corda con cui veniva isolata l’area delle piscine per la fase dello svuotamento. Molta gente era già nell’area del bar, che invece rimane aperta. Avevo controllato».

 



«Poi mi hanno chiamato ad attivare il sistema di svuotamento», continua, «e non ho visto quello che è successo. Ogni giorno ci veniva detto di sbrigarci, perché se avessimo finito dopo le otto di sera avrebbero dovuto pagarci gli straordinari». Un ipotesi spaventosa, quella di una grata “rimossa” solo per sveltire le operazioni, per guadagnare tempo (e quindi anche denaro) e che, però, sarebbe andata a discapito della sicurezza di tutti i bagnanti. Ma anche un’ipotesi che pare sia confermata dagli altri lavoratori della struttura, quelli che non sono sotto indagine. Stephan è deceduto per annegamento, dentro un tubo di appena quaranta centimetri, risucchiato da un bocchettone, mentre suo padre provava il tutto e per tutto, disperatamente, freneticamente, per salvarlo. «Ho cercato di prenderlo per le braccia, ma non ce l’ho fatta», dopo che la sua sorellina, Mia, aveva lanciato l’allarme. «Papà, Stephan è andato via». Un episodio sul quale la magistratura laziale dovrà fare, necessariamente, chiarezza. 

 

 

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