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Pordenone, il nonno porta una mina a casa: la morte orribile del piccolo Gabriele

Claudia Osmetti
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Vivaro, Pordenone. Gabriele Cesarotto è un bambino di appena diecianni. Èa casa sua, Gabriele. Sono le 18.45 di venerdì pomeriggio. Non è ancora buio. All’improvviso un boato, che si scatena dal garage, lo travolge. È scoppiata una bomba, un residuato bellico: probabilmente è stato Silvio, suo nonno,a portarlo dentro l’abitazione. Si capisce subito che la situazione è grave.Arrivanoi carabinieri, arrivano le ambulanze, arrivano i medici. Gabriele è stordito, l’esplosione lo ha ferito, lo ha colpito direttamente. Le sirene a tutto volume lo trasportano, di fretta, di corsa, all’ospedale Santa Maria degli Angeli, a Pordenone.

C’è anche l’equipe dell’elisoccorso perché lui, questo ragazzino che va alle elementari, è in condizioni disperate. E in condizioni disperate arriva anche al pronto soccorso, dove dottori e infermieri tentato il tutto per tutto. Purtroppo, però, Gabriele non ce la fa: quelle ferite, quelle lacerazioni, sono tante, sono troppe, sono profonde. Il suo cuoricino smette di battere poco dopo il ricovero. Intanto il nonno Silvio viene portato nello stesso nosocomio, anche lui ha delle ferite (alle gambe), ma sono giudicate più lievi. Non così gravi. Chiede insistentemente al personale medico notizie del suo nipotino, nonno Silvio. Poi perde i sensi.

È il bilancio, drammatico, tragico, assurdo, di una vicenda che stenti quasi a crederci: una mina, una bomba, che se ne stava lì da almeno settant’anni, dimenticata, inesplosa, raccolta, spostata. E un bimbo di quell’età, tenerissima, che col conflitto mondiale non c’entra nulla, manco l’ha visto, manco ha fatto in tempo a studiarlo sui libri di scuola. Sul fatto, adesso, indagano gli agenti dell’Arma di Spilimbergo, in Friuli Venezia Giulia. 

Sono circa 25mila, secondo le ultime stime, le bombe mai scoppiate in Italia della Seconda guerra mondiale. Ogni anno ne vengono scoperte 60mila. Gli artificieri dell’esercito ne fanno brillare circa otto al giorno, tra il 1940 e il 1945 sono cadute sulla testa dei nostri nonni oltre 378mila tonnellate di esplosivo e il 10% non ha mai detonato: vuoi per un difetto di fabbricazione, vuoi per colpa del meteo e per le condizioni ambientali che non hanno funzionato.

Le operazioni di bonifica (se ne fanno in continuazione) costano l’una attorno ai 20mila euro: abbiamo però anche cento persone addestrate dal Centro di eccellenza dell’esercito che di lavoro fanno esattamente questo, ci salvano dalla guerra che fu.
 

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