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Arezzo, altro autogol dell'Anpi: ecco perché ora il pane del Duce va a ruba

Enrico Paoli
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«Il pane ’un si sciupa, ’un si butta». Se andate a frugare nella valigia Dei ricordi, facendo un giro sulla giostra della memoria, soprattutto per chi sta nella nell’età di mezzo, quelle frasi vi suoneranno familiari. In Toscana, almeno per conoscenza diretta, lo dicevano i nonni, ma anche i padri.
Lo dicevano in tanti, sia che fossero di destra odi sinistra. E lo diceva, anzi lo avrebbe scritto di suo pugno, anche Benito Mussolini. «Amate il pane cuore della casa profumo della mensa gioia dei focolari. Onorate il pane gloria dei campi flagranza della terra festa della vita. Rispettate il pane sudore della fronte orgoglio del lavoro poema del sacrificio. Non sciupate il pane ricchezza della patria il più santo premio alla fatica umana». La cosiddetta “Preghiera del pane”, di quella si tratta, apparve sul quotidiano “Il Popolo d’Italia” nel 1928, durante la cosiddetta “battaglia del grano” del regime fascista.
Ad Arezzo, quella frase, appare sulle buste di due forni usate per incartare il pane, «da almeno 15 anni» raccontano i protagonisti di questa apparente storia di provincia. Ma che di provinciale non ha nulla, visto il circo di polemiche scatenato da un avventore del negozio, con l’Anpi che lancia anatemi, i gestori che corrono ai ripari e i clienti che aumentano, solleticati dal pane di Ben.

 

 

«Queste buste vengono utilizzate da 15 anni a questa parte», spiega Andrea Angioli sul quotidiano La Nazione, gestore di uno dei due esercizi commerciali, «prima ero dipendente, adesso gestore e da quando lavoro qui ci sono quelle buste, nessuno aveva mai detto nulla.
Per me è stata una sorpresa. Sono dispiaciuto di essere finito al centro di questa polemica. Di sicuro smetterò di usare questi sacchetti nel mio negozio. Da lunedì non li vedrete più, a noi interessa solo lavorare, non abbiamo nulla a che fare col fascismo e adesso scusate ma ho il forno pieno di clienti da servire».

Già, perché i clienti, e sono loro la cosa importante, continuano ad affollare l’attività, incuranti dell’accorato appello lanciato loro dall’Anpi, che aveva chiesto di boicottare i negozi che usano quel tipo di buste.

Per i partigiani, evidentemente, il pane si può anche sprecare così, facendolo indurire negli scaffali. Non solo. Gli esponenti dell’Anpi di Arezzo starebbero anche valutando un’eventuale denuncia. «Valuteremo al più presto se ci sono gli estremi, e credo proprio di sì, per presentare denuncia contro chi usa queste buste per vendere il pane», spiegano dall’Anpi, come racconta ancora La Nazione, «intanto lancio un appello a tutti i cittadini aretini perché boicottino queste panetterie che usano le parole del Duce per esaltare i loro prodotti», chiosa il presidente dell’associazione partigiani d’Italia di Arezzo, Roberto Del Gamba. Il loro accorato appello, a quanto pare, è letteralmente caduto nel vuoto.

 

 

Perché se una semplice poesia, una banale lirica dedicata al pane, peraltro di grande attualità visto l’aumento esponenziale dei poveri (o comunque di persone in difficoltà) in fila ai centri della Caritas o delle organizzazioni solidali, fa così tanta paura, significa davvero chela caccia alle streghe resta la missione prioritaria di una certa sinistra. Tant’è che in provincia di Perugia, a San Giustino per l’esattezza, dove i fornai del gruppo Pan Art usano le stesse buste, non sono dello stesso avviso dei colleghi di Arezzo. «Ne abbiamo in grossa quantità e sono state mantenute al di là di ogni questione politica che non è materia di panettieri», dicono da alcuni punti vendita. Se non fosse stato per un professore di storia il caso non sarebbe mai scoppiato. I clienti “normali”, definiamoli così, non si erano accorti di niente, ignorando tanto la poesia quanto la M, continuando a farsi imbustare il pane con la “Preghiera” stampata sopra. Perché l’importante è non sciupare il pane, piuttosto che smacchiare la storia.

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