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Battesimo, le origini della parola in un latino imbevuto di cristianesimo

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Massimo Arcangeli
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Battesimo è uno dei numerosi vocaboli provenienti da un latino imbevuto di cristianesimo che non ha mancato di influenzare l’italiano delle origini. Alla sua base c’è il termine ecclesiastico baptismum, documentato in Tertulliano – autore di un organico trattato sull’argomento (De baptismo) – e disceso dal greco neotestamentario baptismós.

Nulla da eccepire, per il Dicastero per la dottrina della fede, sulla possibilità per un transessuale o un omosessuale di far da padrino (o da madrina) in un battesimo, e per due persone omoaffettive di poter risultare genitori di un bambino da battezzare. Questa la risposta – controfirmata dal Papa – del prefetto della congregazione, monsignor Víctor Manuel Fernández, a una lettera di un vescovo brasiliano.

Il prelato, José Negri, aveva chiesto di essere illuminato al riguardo. Sembra che il “raddoppio”, quando parliamo di nomi di battesimo, faccia guadagnare ciò che si guadagna coi cognomi: un supplemento di fortuna.

Stando a un’inchiesta condotta anni fa da due psicologi sociali, Wijnand A. P. van Tilburg, dell’università di Southampton, ed Eric R. Igou, dell’ateneo di Limerick, i bambini con un doppio nome sarebbero destinati a un fulgido avvenire: nella percezione delle persone la loro condizione economico-sociale, la loro presa sugli altri e la loro cultura, le loro facoltà psichiche e intellettuali risulterebbero migliori di quanto siano realmente.

Nel sondaggio i due studiosi chiesero a un campione di studenti universitari di esprimere un giudizio su un testo, il cui argomento era la teoria della relatività, indicandone il nome dell’autore in forme ogni volta diverse: David Clark, David F. Clark, David F. P. Clark, David F.

P. R. Clark. L’articolo valutato di qualità più alta fu quello a firma David F. Clark, il giudizio peggiore toccò invece al semplice David Clark. Molto meglio dunque un Guido F. Rossi, un Luca A. Bianchi o un Franco V. Neri di un Guido Rossi, un Marco Bianchi o un Luca Neri. Fa la differenza quella lettera puntata, necessaria e sufficiente – una va bene, due sono troppe – a garantire al portatore del doppio nome un quarto di nobiltà. O di distinzione.

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