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Amnesty tace sulle violenze islamiche ma spara sull'Italia: "Diritti sottovalutati"

Daniele Dell'Orco
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 Il barbaro omicidio di Giulia Cecchettin da parte dell’ex fidanzato Filippo Turetta sta scuotendo da giorni l’opinione pubblica italiana. Vista la straordinaria cassa di risonanza, ad offrire commenti più o meno circostanziati su questa tragedia stanno provvedendo un po’ tutti, certi di un ritorno immediato in termini divisibilità. Le organizzazioni umanitarie non sono da meno. Amnesty International ha pubblicato un documento in cui ricorda che da gennaio scorso in Italia ci sono state 105 donne vittime di omicidio, di cui 85 uccise in ambito familiare o affettivo.

Nel Global Gender Gap del World Economic Forum, lo strumento che fornisce un quadro generale sull’ampiezza e sulla portata del divario di genere in tutto il mondo, l’Italia è scivolata quest’anno di 13 posti, fino al 79esimo posto su 146 Stati. Un tema delicato che certamente merita la giusta attenzione. Per Amnesty, nel nostro Paese, ciò non avviene: «La violenza di genere rappresenta, a oggi, una delle più estese violazioni dei diritti umani, trasversale, seppure con caratteristiche variabili, nei vari paesi e nei vari gruppi sociali, determinata da specificità di ordine sociale e culturale», spiega Alba Bonetti, presidente di Amnesty International Italia. «Nonostante la dimensione mondiale e la gravità del fenomeno, nella stragrande maggioranza degli Stati non vengono attuate strategie adeguate per contrastarlo».

 

 

 

Una reprimenda in piena regola e proprio a pochi giorni dal 25 novembre, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nella sua nota, Amnesty ricorda di essere impegnata da tempo nella tutela dei diritti delle donne e nella lotta ai maltrattamenti in varie zone del mondo, compreso il Medio Oriente. Curiosamente però, mancano rapporti, perlomeno degli ultimi anni, sulla situazione della donna a Gaza. Un posto che, insomma, è difficile immaginare che prima della guerra in corso fosse il paradiso della parità di genere.

Eppure Amnesty si occupa del conflitto israelo-palestinese da decenni, con una accentuata vena polemica nei confronti delle politiche di Tel Aviv. Dopo il 7 ottobre, poi, Amnesty ha ripetutamente invocato azioni internazionali contro Israele. In ultimo, contro l’esercito israeliano per «l’agghiacciante indifferenza per il catastrofico numero di vittime civili dei loro incessanti bombardamenti sulla Striscia di Gaza occupata». Amnesty, in riferimento a due attacchi nella Striscia, avvenuti il 19 e il 20 ottobre, che hanno causato 46 vittime civili tra cui 20 bambini, sostiene che debbano essere «indagati come crimini di guerra».

Amnesty, tuttavia, è finita più volte al centro delle polemiche con l’accusa di non essere al di sopra delle parti. Il caso più recente, del 10 novembre, è stato quello della diffusione di un video che ritrae un uomo accusare una volontaria di Amnesty a Napoli di aver strappato e gettato nel cestino un volantino che chiede la liberazione degli ostaggi israeliani. In passato, l’organizzazione scelse di assumere Deborah Hyams come ricercatrice su “Israele, Territori palestinesi occupati e Autorità palestinese". La stessa Hyams che aveva dichiarato che gli attentati suicidi palestinesi fossero «una risposta all’occupazione» e che «l’occupazione è violenza... e la conseguenza di questa azione si traduce in violenza». Durante la Prima Intifada, Amnesty definì i terroristi del Fronte opolare per la liberazione della Palestina (Fplp) «prigionieri di coscienza». Una lista che potrebbe essere allungata. E di molto. 

 

 

 

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