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Filippo Turetta, cos'ha fatto in carcere durante i funerali di Giulia Cecchettin: tutto torna

Simona Pletto
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Per Filippo Turetta non c’è stata alcuna diretta tv del funerale della sua ex Giulia Cecchettin. Sì perché il suo assassino, rinchiuso dal 25 novembre scorso nell’infermeria del carcere Montorio di Verona, è considerato ancora un detenuto da proteggere, anche dai bombardamenti mediatici esterni. Anche se lunedì scorso, dopo l’incontro in carcere con i genitori, Turetta è stato spostato dalla cella per reclusi più gravi che necessitano di visite psichiatriche a quella per meno gravi che ora divide con un detenuto 60enne che lo controlla a vista, nella infermeria resta un “sorvegliato speciale” perché a rischio suicidio. L’assassino della studentessa 22enne di Vigonovo pare non abbia ancora preso coscienza dell’atroce crimine compiuto. Cammina con lo sguardo basso, non riesce a guardare negli occhi nessuno. È seguito da uno psicologo, oltre che dal magistrato di sorveglianza, e non smette di prendere ansiolitici, né di mostrare fragilità. Legge molto, parla e mangia poco. 

Chi lo ha in carico, in questa prematura fase carceraria, suggerisce di non fargli leggere i giornali. Per questo ieri si è cercato di far sì che evitasse di vedere in diretta tv i funerali della povera Giulia. Una “prescrizione” che sembra aver incontrato il favore dello stesso Turetta. A parte l’interrogatorio col pm e gli incontri in carcere col suo legale, tutto resta spento su quella sera dell’11 novembre scorso, quando è andato a prendere la sua ex sotto casa in auto, l’ha accompagnata al centro commerciale di Marghera dove hanno cenato al Mc Donald’s, poi al ritorno, poco dopo le 23, in un parcheggio a cento metri da casa della ragazza, ha iniziato ad aggredirla. L’ha picchiata, colpita più volte con un coltello, gettata a terra e caricata in auto. Un vicino ha visto tutto, ma non ha fatto in tempo a chiamare i carabinieri che lui aveva già cambiato piazzola, questa volta in un’area industriale di Fossò. Dove ha concluso l’orrendo delitto. 

 

Da qui è iniziata la sua fuga, prima per sbarazzarsi del cadavere della studentessa trascinandola in un dirupo vicino al lago Barcis, in Friuli; poi verso l’Austria e la Germania, dove si è fermato in una corsia di emergenza dell’autostrada perché non aveva più benzina e neppure i soldi. Ora l’avvocato di Turetta punterà ad evitargli l’ergastolo, cercando di smontare gli elementi della premeditazione che gli inquirenti hanno fin qui raccolto. Entrambi hanno più jolly: la difesa può giocarsi la carta della perizia psichiatrica per chiedere la seminfermità mentale dell’indagato, oppure dimostrare la preterintenzionalità del delitto e usufruire di tutti gli sconti di pena. La Procura di Venezia, titolare del fascicolo di Turetta accusato ad oggi di sequestro di persona e omicidio volontario (presto sarà aggravato dalla crudeltà, visti i primi esiti dell’autopsia, e forse anche dallo stalking), punta i fari sulla Fiat Grande Punto, per sette giorni di fuga la “casa” dell’omicida e per poche ore la tomba di Giulia. L’auto, sequestrata in Germania, arriverà la prossima settimana in Italia. Le tracce di sangue racconteranno gli ultimi momenti di Giulia, il telefonino di Filippo rimasto lì, offrirà nuovi spunti di indagine e prove, insieme al cellulare della vittima, che ancora non si trova insieme al suo computer.

 

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