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Milano, assassini per noia: cavo d'acciaio in strada ad altezza d'uomo

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Andrea Fatibene
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Sarà forse la noia a generare certi mostri. Sarà forse il periodo di festività, quando nella coscienza dei perdigiorno rimbomba il senso di vuoto, a esacerbarli. E così si finisce a piazzare i cavi d’acciaio su viale Toscana, tesi tra un palo della luce e una pensilina dell’autobus nell’attesa che un disgraziato passante ci si imbatta, inconsapevole della minaccia celata nel buio della notte. D’altronde, è facile immaginare che le intenzioni fossero quelle: tendere un cavo ad altezza uomo, imboscarsi in un punto strategico da cui osservare il palcoscenico e aspettare che la stella del loro macabro spettacolo facesse il suo grandioso ingresso sotto i riflettori. E chissà a che spettacolo avrebbero assistito se l’ignoto primo attore fosse stato effettivamente un motociclista. «Volevo divertirmi», si giustifica quasi candidamente il ragazzo braccato dalle forze dell’ordine, sottintendendo che questa fosse una delle possibili opzioni per trovare un senso al vuoto del non-divertimento. Ma nel raccontare questa storia è difficile utilizzare termini che in qualche modo rimandino alla sensatezza.


Pur senza che ci sia stata una singola vittima qui si sta parlando di una tragedia predisposta con premurosa cura, un attentato terroristico in potenza, aggravato dall’assenza di un vero e proprio movente. E l’asprezza del suono delle accuse ne rispecchia la gravità: reato di strage e attentato alla sicurezza dei trasporti in concorso con ignoti. Anche per la giustizia non sembra qualcosa da prendere alla leggera: ora si spera che per Alex B., il giovane milanese di Porta Romana che già prima dell’arresto vantava diversi precedenti, quella di ieri notte sia stata la doccia fredda capace di mettere in prospettiva quella che quasi certamente nella sua testa suona come una ragazzata, poi nemmeno andata a segno. E il carcere sembra la giusta prospettiva da cui riflettere sulle proprie responsabilità.

A evitare che la strage si compisse ci ha pensato un altro ragazzo, un 26enne che proprio in quel momento, alle 2,35 di notte, per grazia di una fortunata coincidenza era da poco tornato nella sua abitazione. Affacciatosi sul viale, incuriosito da rumori di traffici sospetti, il provvidenziale testimone ha notato tre ragazzi che, tra gli schiamazzi e le risate goliardiche, stavano agganciando i due moschettoni di cui il cavo era provvisto all’estremità per apparecchiare la tagliola.

Sbigottito e incredulo, il testimone 26enne ha reagito a quel pungolo di coscienza evidentemente così straniero ai tre criminali e ha quindi allertato le autorità. A quel punto i tre si stavano allontanando compiaciuti dal luogo del misfatto, mentre «ridevano e scherzavano fra di loro», come fanno i dodicenni dopo aver lanciato un petardo acceso in un vicolo stretto. Sono bastati tre minuti al nucleo della radiomobile per mandare tre pattuglie sul posto, una delle quali ha immediatamente disinnescato la trappola mortale tranciando via il filo teso sulle tre corsie. Le altre due si sono invece messe all’inseguimento dei giovani fuggitivi. Sfortunatamente solo uno dei tre scellerati attentatori è stato rintracciato, pochi secondi dopo nell’adiacente viale Sabotino imboccato per tornare verso casa dopo la folle nottata.

Fondamentale nel riconoscimento del soggetto i pantaloni bordeaux descritti nella testimonianza del ragazzo alla finestra. E come nei più banali dei copioni comici, la recita del ragazzo colto con le mani in prossimità del sacco è durata pochi secondi. «Ho fatto una cazzata per gioco, perché mi annoiavo», crolla nell’ammissione davanti al cavo mostratogli dai carabinieri. Omertà rispetto ai suoi complici che pare si siano allontanati a bordo di uno scooter e sulle quali tracce si sono messi i militari: il giovane ha dichiarato di averli conosciuti tramite social e di non sapere quindi i loro nomie cognomi. Nell’attesa delle decisioni del gip che oggi ascolterà il ragazzo, vista la gratuita barbaria del gesto, il Pm di turno non ci ha pensato due volte a predisporre l’arresto in carcere per il soggetto. Un gesto d’altri tempi e d’altri luoghi, usato dai contadini per fermare – almeno in questo caso con una qualche giustificazione – le moto da enduro che scorrazzavano tra i campi distruggendone i raccolti. Un gesto che, traslato in questo contesto, dovrebbe stupire per la sua dissennatezza. Eppure, per le follie a cui Milano ci sta abituando, anche queste macabre manifestazioni di disagio rischiano di passare come un fatto di cronaca tra gli altri e non come i mostri che sono. Un omicidio mancato e due potenziali assassini ancora a piede libero: una vicenda sintomo di una temibile violenza, a prescindere dal fatto che il sangue scorra o meno. 

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