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I sindaci eco-talebani ora cancellano anche il rito del falò invernale

Serenella Bettin
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Gli eco-talebani cancellano i tradizionali falò invernali di inizio anno. Cos’altro dobbiamo aspettarci dopo la rimozione delle recite natalizie, dopo Gesù che diventa Cucù, e dopo il presepe con due Marie e il gommone al posto della stalla. Ora, non in nome della religione o dell’accoglienza, ma soccombenti di fronte all’imperante ideologia eco friendly, i fanatici del clima che fermano il traffico aumentando lo smog e imbrattano i monumenti sprecando acqua per pulirli, cancellano le tradizioni, perdipiù beneauguranti.

Usanza secolare vuole che in Veneto e non solo, il giorno prima dell’Epifania (dunque gisuto ieri, il 5 gennaio), si organizzino i falò della Befana. Meglio conosciuti nel Nordest come Panevin, Piroea Paroea, o anche Brusa la Vecia (in Friuli Pignarul). Una tradizione popolare dell’Italia nord orientale e dell’Emilia occidentale, che consiste nel bruciare delle cataste di legno e delle frasche i primi giorni dell’anno. La tradizione non è grossolana o rozza: Piroea Paroea, per dire, deriva dal greco pir-piròs, che significa fuoco, e ha origini precristiane: simboleggia che l’anno vecchio è andato ed è pronto per nascere il nuovo.

 

In Veneto ci si organizza scrupolosamente, ci sono intere squadre di volontari che predispongono il tutto. Il falò più alto per esempio è quello di Arcade, paese in provincia di Treviso, che raggiunge i 12 metri di altezza e che attira ogni anno migliaia di visitatori, 10mila l’anno scorso. Ed è caratteristico vedere questa folla oceanica di persone- a debita distanza dal rogo, ovviamente - con il volto sfolgorato dai bagliori del fuoco, e con gli occhi luccicanti dove si riflettono faville e scintille. Ed è bellissimo vedere i bambini col naso all’insù e poi all’ingiù seguire il movimento di quei luccichii che paiono cascate di lava. Tradizione vuole che se le faville volino verso sud o a ponente, per l’agricoltura sarà un anno propizio.  Ma i talebani del clima non ne vogliono sapere, e hanno chiesto ai sindaci veneti «più sensibilità per l’ambiente» e di non derogare alla legge. Questa vieta il rogo di materiali vegetali da novembre a febbraio per evitare la produzione di polveri sottili - e però, per l’appunto, sono ammesse deroghe, ora utilizzate da quei Comuni che non intendono rinunciare alla tradizione, come in quelli della Marca trevigiana, dove i falò in programma, ieri, erano circa un centinaio.

 

Invece indovinate chi ha ottemperato pedissequamente alle disposizioni degli eco-talebani? I Comuni a traino centrosinistra. Padova e Verona in particolare, capofila di quest’ennesimo gesto che ha più della propaganda che dell’effettivo rispetto ambientale. Al posto del rogo della Befana, peraltro, ci hanno messo laser, fasci luminosi, giochi di luce e trenini, che poi ci si chiede se questi non inquinino. Sia dal punto di vista atmosferico, luminoso, e - perché no - anche economico, dato che i fasci di luce costano la bellezza di quasi 20mila euro e le frasche al massimo te le dona qualche contadino. A Padova dunque, oggi alle 15, in Prato della Valle, «nel rispetto della normativa per il miglioramento della qualità dell’aria», ci sarà una festa della Befana senza falò. Accipicchia. A Verona invece, come detto, danzano con i giochi di luce: uo schermo sul quale saranno proiettati fasci luminosi come a formare un fuoco, dalle 18 alla mezzanotte. Una soluzione, dicono, per evitare «lo spreco di risorse energetiche». Che detta così, con fasci di luce accesi ininterrottamente dalle 18 alle 24 costati 19 mila euro, fa parecchio ridere. Il centrodestra ha attaccato il sindaco scaligero Damiano Tommasi accusandolo di «voler cancellare le tradizioni cittadine».

Altri Comuni hanno ceduto e si sono piegati alle richieste degli ambientalisti; alcuni ma solo per questioni meteorologiche - hanno rinviato al 13 gennaio prossimo. Altri invece continuano a resistere. Come Minerbe, piccolo paesino in provincia di Verona. «Viviamo in un mondo sempre più digitale, che allontana gli uni dagli altri - dice a Libero il sindaco Andrea Girardi -, non c’è niente di più bello che ritrovarsi attorno a un fuoco, anche per pochi minuti. Comprendo e ho a cuore la problematica ambientale, ma non sono questi tradizionali fuochi a dover essere fermati per contrastare il cambiamento climatico». Idem Legnago, 25mila abitanti, sempre nel Veronese: «Le tradizioni in genere è buona cosa mantenerle - ci dice Paolo Longhi, presidente del Consiglio comunale -, perché in un mondo che va al rovescio finiscono per essere tra i pochi gesti realmente rivoluzionari». Già. Ma gli eco-talebani vogliono bruciare tutto. Perfino i roghi. 

 

 

 

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