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Ilaria Salis beatificata? L'anno scorso era stata condannata (in Italia)

Tommaso Montesano
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Una luce nel buio. Di più: un’eroina. Senza macchia e senza paura. Avercene di «maestri capaci» come lei. Come «Ilaria». In grado «di insegnare cosa sia credere in un’idea, il coraggio di esprimerla a viso aperto, difenderla anche e soprattutto quando non è l’idea della maggioranza», come scrive, in quella che pare un’istruttoria per una precoce beatificazione, Concita De Gregorio su Repubblica. «Ilaria» è la «Giovanna d’Arco» dei nostri tempi. Ha portato allegria laddove nelle prigioni ungheresi c’erano tristezza e disperazione. «Ha ottenuto cose che loro (le altre detenute, ndr) non erano in grado d’ottenere», giura papà Roberto Salis.

Ilaria Salis, anni 39, è sotto processo in Ungheria con l’accusa di aver partecipato a quattro aggressioni. Il caso è esploso dopo le immagini che la mostrano in manette, catena e lucchetti nel corso dell’udienza in tribunale, a Budapest. La vicenda giudiziaria, però, è ormai in secondo piano. Sulla maggior parte dei giornali italiani - «the leftist media», i media di sinistra, li ha definiti il governo di Viktor Orbán - è già partita la narrazione: «Ilaria», o meglio «Ila», come la chiama il Corriere della Sera, è la combattente che non si volta dall’altra parte di fronte all’ingiustizia e al male. Male che assume le fattezze di quel cattivone di Orbán. «L’atto di accusa di Ilaria», declama il Corriere. Quel memoriale di 18 pagine scritte a mano è di fatto “la verità”. Invece il lungo tweet con il quale il portavoce del governo magiaro smonta punto per punto quelle che Budapest considera le «fake news» dei media italiani è «propaganda». E va ignorato.

 

 

 

Su Repubblica, a far da corredo all’articolo con le testimonianze delle compagne di cella che adesso chiamano Ilaria «Giovanna d’Arco», una vignetta di Fumettibrutti raffigura una ragazza ammanettata e al guinzaglio che dice: «Sempre e comunque anti-fascista fiera!». Non serve attendere la pronuncia del giudice ungherese, capirne di più su quello che è successo tra il 9 e l’11 febbraio dello scorso anno a Budapest in occasione del “Giorno dell’onore”. «Ila» è una combattente, una che finalmente mostra ai suoi alunni «cosa sia la responsabilità, che assumersela comporta sovente dei rischi» (ancora Concita). È vero, «Ilaria» aveva in tasca un manganello, ma per difendersi, obietta il padre, sempre al Corriere: «Uno strumento retrattile che costa 89 euro e si può comprare su Amazon. Uno strumento di difesa. È comprensibile che l’avesse. Se ci andassi io, in un corteo anti-nazista, farei la stessa cosa».

A proposito: «È normale che una educatrice venga fermata in una capitale europea con un manganello?», si chiede la Lega. Il Carroccio, con Matteo Salvini, è da giorni protagonista di uno scontro con la famiglia di «Ilaria». Ieri la Lega ha rivelato che Salis, il 3 luglio 2023, è stata condannata in via definitiva dalla Cassazione «per concorso morale nella resistenza a pubblico ufficiale». Da qui la chiosa al veleno, con «l’auspicio che Ilaria venga assolta rapidamente da tutte le accuse», a differenza di quanto accaduto in passato. «La condanna per resistenza a pubblico ufficiale a cui fa riferimento la Lega non ha nessuna rilevanza rispetto alle immagini che mostrano il trattamento disumano che ha dovuto subire una cittadina italiana sotto gli occhi di tutto il mondo», hanno replicato i difensori della 39enne, Eugenio Losco e Mauro Straini, confermando implicitamente quanto denunciato dal Carroccio. Come del resto fa, ospite in tv a Prima di domani, Roberto Salis: «Mia figlia è un’attivista, ha precedenti penali» (l’uomo ha parlato di sei mesi, ndr).

 

 

 

Il passato di Salis, a leggere i giornali, è fatto di «passione per la storia e lotte con il centro sociale». A partire dall’occupazione di una «fabbrica abbandonata nel cuore della borghesissima Monza» per farne un centro sociale, «il Boccaccio». «Ila» l’ha fondato quando «aveva 18 anni». «È una bravissima persona, un’idealista», giura la zia, Carla Rovelli. «Si è sempre appassionata alle cause sociali. Sempre. Fin dal liceo. Si consumava sui libri e nell’impegno politico. Il centro sociale l’ha praticamente fondato lei», conferma papà Roberto. 

 

 

 

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