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Stupro di Catania, le belve dietro al vetro: il coraggio delle 13enne

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Claudia Osmetti
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Il dramma di ciò che è successo sta tutto nelle parole della vittima: «Vi imploro, vi supplico, non mi fate del male». Catania è sotto shock. Sconvolta, traumatizzata. Il racconto della ragazzina di tredici anni, stuprata in pieno centro, nei bagni della Villa Bellini, la sera (manco la notte, sono appena le 19.30) di martedì 30 gennaio, da un branco di giovani egiziani, sette in tutto, il più piccolo è un 15enne, il più grande ha diciannove anni, è una ferita ancora aperta. È domenica, ieri. Loro, i sette immigrati (sono arrivati in Italia fra il novembre del 2021 e il marzo del 2023 quando erano tutti minorenni: il che vuol dire che espellerli, cioè rimandarli in Egitto, perla legge, era impossibile) sono già stati fermati.

È stata lei, la coraggiosa 13enne, a parlare (prima) e a individuarli (dopo). «È lui, uno dei due che mi hanno violentata»: non ha dubbi nè esitazioni quando, durante un confronto all’americana, quello che mette in fila i sospettati dietro un vetro di protezione, come in un film anche se questo, purtroppo, non va in scena al cinema ma in una caserma dei carabinieri siciliani, indica uno degli egiziani. Si tratta di un ragazzo che ha raggiunto la maggiore età da poco, però tanto basta per far finire il suo fascicolo sulla scrivania della procura distrettuale e non di quella per i minorenni. L’altro adolescente che ha materialmente compiuto lo stupro è un minore: ed è ancora lei, la vittima, che lo riconosce.

Ne riconosce anche un terzo che durante quei minuti indicibili la bloccava e le impediva di sottrarsi agli abusi. «Passeggiavamo tranquilli quando ci hanno accerchiati», spiega, «due hanno afferrato me, altri (cinque, ndr) hanno preso il mio ragazzo». Un 17enne italiano che, alla sua stessa stregua, è terrorizzato. «Ci hanno portati nei bagni della villa, è stato un incubo. Non c’era nessuno a quell’ora. Io cervato di liberarmi, anche il mio ragazzo provava a divincolarsi». Non ci sono riusciti. Anzi, lo hanno obbligato ad assistere. Lì, al buio, lontani da tutti, in preda alla paura, col senso di impotenza che si mischia allo spavento. Due ragazzini con l’età per andare al liceo, che non stavano facendo un torto a nessuno: «Costringevano a guardare pure il mio fidanzato. Lui urlava si disperava. Io ho detto: “Vi imploro, lasciatemi andare”». Invece l’hanno presa ancora più stretta, l’hanno violentata, a turno, in due, come se fosse una cosa normale, una bravata o poco più, mentre gli altri la fissavano.

 


Bisogna ringraziare le forze dell’ordine se questa storia, delicatissima, si è conclusa nel giro di neanche due giorni: per le indagini lampo come quelle affidate al Ris (il reparto investigazioni della Scientifica) di Messina che hanno confrontato un campione biologico del tampone prelevato al settimo fermato, un minorenne, con le tracce ematiche e seminali e salivari trovate negli slip della ragazzina e hanno riscontrato il primo “match” positivo. È una 13enne come ce ne sono poche, questa ragazza che non si è persa d’animo e ha denunciato (giustamente), ha collaborato (giustamente) alla cattura dei suoi aguzzini, ma si è anche fermata sull’identificazione degli altri quattro del gruppo perché non li ha visti in faccia e non se l’è sentita, nonostante quello che ha passato, nonostante l’inferno, nonostante la comprensibile rabbia, di accusare qualcuno che avrebbe potuto anche essere innocente. Adesso ci sono due inchieste parallele che proseguiranno per due canali separati, per via delle differenti età degli assalitori. Adesso (cioè oggi) si terrà l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Carlo Umberto Canella, al palazzo di giustizia di Catania, nei confronti dei cinque fermati maggiorenni, dato che il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Anna Trinchillo hanno chiesto la convalida del provvedimento di fermo e l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare, per quattro di loro in carcere e per il quinto (che ha vuotato il sacco, appena l’hanno preso ha deciso di parlare e di aiutare i carabinieri a individuare il resto del branco) ai domiciliari. I sette egiziani sono tutti accusati di violenza sessuale di gruppo. I loro rispettivi avvocati d’ufficio hanno rinunciato al mandato. Ci sono le prove, tante prove. Raccolte dalla Scientifica e catalogate, analizzate in laboratorio. C’è il profilo genetico, il dna, di uno di questi piccoli aguzzini. E c’è il racconto, doloroso, disperato, tragico, della 13enne e del suo fidanzatino poco più grande che chiede giustizia: «Per questo abbiamo denunciato subito». Glielo si deve.

 

 

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