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Torino, il calvario di Mirafiori: cos'è successo con le scelte di Elkann

Alessandro Dell'Orto
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Hanno tra le dita un foglietto di carta sgualcito che aprono e sbirciano con apprensione, timore e speranza - come fossero le carte di una mano di poker -, appoggiati a un paletto appena fuori i tornelli dell’ingresso 2 di Mirafiori, a Torino. «A te come è andata?». «Questa volta di lusso, guarda qui: sono a casa da domani, ma so già che ad aprile lavorerò dal 15 al 19». «Beato te, io niente. Il prossimo mese ci sarò qualche giornata isolata, ma solo a chiamata: mi avviseranno all’ultimo momento, probabilmente la sera prima, per delle sostituzioni.

Quindi niente programmi con la famiglia e niente impegni perché non posso rischiare di perdere i pochi giorni retribuiti». Mentre i normali lavoratori italiani organizzano le ferie pasquali, i ponti e i week end, qui a Mirafiori si sognano le giornate lavorative, che per molti operai- quelli in solidarietà all’80 percento, comunque più fortunati di chi è in cassa integrazione sono cinque al mese per uno stipendio che da 1400 euro si riduce a 1000 euro. «Lei è un giornalista e vuole parlare con qualche dipendente? Si affretti perché ormai sono usciti quasi tutti», dice ridacchiando - tra un tiro e l’altro di Marlboro - un lavoratore che si è appena tolto la tuta della Maserati e si concede un attimo di relax.

 

 

 

POCHI E OVER 50

Già, fino a 20 anni fa, qui al cambio turno delle 14, saresti stato travolto da una folla frenetica ed energica di giovani uomini e donne (a inizio anni Duemila alle Carrozzerie erano in 5000) che si alternavano tra motori, lamiere e vernici, mentre ora i lavoratori presenti - poco più di un centinaio e quasi tutti over 50 - escono a singhiozzo e di fretta, ed è un’impresa fermarli. D’altronde, per capire quanto sia ormai allo sbando quella che era la più grande fabbrica di auto d’Europa, basta guardarsi attorno: lungo corso Tazzoli le aree di sosta e i controviali sono vuoti. Abbandonati.

Sembra di ritrovarsi in uno scenario post-apocalittico: le erbacce selvagge e ribelli hanno conquistato i muri di recinzione, centinaia di parcheggi - a spina di pesce sulla destra e in fila indiana a sinistra - sono deserti, le uniche auto posteggiate sono a pochi metri dall’ingresso dello stabilimento o nello spazio interno (riservato però solo ai modelli Fiat) e ai paletti ci sono legati qua e là una decina tra scooter e biciclette. «Ehhh ma lei sa che ai tempi d’oro non solo non si trovava un buco in tutta la zona per lasciare l’auto, ma venivano organizzati pullman per chi arrivava da fuori proprio per risolvere il problema parcheggi? - spiega Carmine, 56 anni, assunto nel 1993 nel reparto Carrozzerie -. Era tutto diverso. Qui fuori, fin dalla mattina presto, c’erano bancarelle fisse, si potevano comprare brioche, verdura, frutta, mozzarelle. Un vero mercato in cui fare la spesa prima di tornare a casa. E quando si entrava in fabbrica c’era la fila per timbrare, a volte aspettavi in coda anche dieci minuti.

Non come ora che si può quasi correre. I turni? Allora erano tre: dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6; adesso se si fa un turno è già tanto». Sì, perché ormai a Mirafiori vengono assemblate solo Maserati e Cinquecento elettriche, ma non sempre. Nella scorsa settimana la media di Maserati è stata di 13 al giorno, mentre per le utilitarie non ci sono state produzioni. E il risultato è che nel reparto Carrozzerie 1200 operai della Cinquecento attualmente sono a casa e, quando ci sarà lavoro, saranno in cassa integrazione a rotazione; per le Maserati, su 980 dipendenti, da domani 800 saranno in solidarietà mentre nel reparto Presse vanno in cassa integrazione circa 350 persone qualche giorno a settimana. Un disastro. E quella che era una frenetica città dell’automobile, adesso è un deserto. Uno sterminato spazio disabitato.

«Nel massimo del suo sviluppo lo stabilimento Mirafiori occupava più di 60 mila addetti, ma ora siamo ridotti a 12mila persone in una struttura immensa - spiega Giacomo, assunto 29 anni fa e ora al ricevimento merci -. Il 50 per cento degli spazi ora è vuoto o inutilizzato. Per andare al mio posto di lavoro devo scavalcare le traversine dei binari, che sono fatiscenti e occupate da alberi alti due metri. Nei reparti ci sono teloni bianchi che rimpiccioliscono gli ambienti come fossero pareti per riparare dal caldo e dal freddo. Pensi che nel reparto delle Lamiere un tempo si lavorava con i tappi alle orecchie per il rumore, mentre ora se chiami un colleghi la voce rimbomba. E una desolazione».

Mirafiori è vuota, ma resta gigantesca. Mastodontica. «Oggi occupa una superficie di 3 milioni di metri quadrati (come 430 campi da calcio) viene illustrato in un rapporto della Fiom - ed è il più grande stabilimento presente in Europa nonché uno tra i più vecchi ancora in attività. Per costruirlo sono servite 35 mila tonnellate di cemento e 12 mila tonnellate di ferro e acciaio. Il perimetro complessivo è di 10 km e per percorrerlo a piedi ci vogliono circa due ore. Al suo interno ci sono più di 20 km di sistemi di trasporto su cui si muovono materiali e vetture e 11 km di strade che collegano i vari capannoni, più altre vie di interconnessione. In tutto 45 km di gallerie e cunicoli (tre volte e mezzo il traforo del Monte Bianco), una superficie tanto estesa che al suo interno passava anche un treno per caricare e scaricare merci. L’officina centrale è lunga 750 metri, larga dai 300 ai 500 metri, l’altezza varia dai 14 ai 23 metri e a sorreggere il tetto ci sono ben 600 colonne».

DA 1 MILIONE A 21MILA

A fare impressione, però, sono i dati delle fabbricazioni. «Nel 1969, uno degli anni di picco delle produzioni, sono state assemblate 1 milione di vetture che se messe in fila misurerebbero oltre 4.000 chilometri (la distanza che c’è da Torino alla Nigeria) con la lunghezza dei cavi installati nelle vetture da fare quattro volte il viaggio Terra Luna - spiega ancora il prospetto Fiom -. Produzioni crollate a 500 mila alla fine del millennio per arrivare al minimo storico delle 21 mila del 2019. ovvero il 98% in meno di automobili prodotte». Poco lavoro, sempre più tagli di personale. «La vera responsabilità di tutto non è solo di chi amministra oggi questa azienda che continua a non dare modelli a Mirafiori e all’Italia- spiega Gianni Mannori, responsabile Fiom Mirafiori -, ma anche di chi amministrava prima, della famiglia Agnelli che non ha più investito sul prodotto fatto in Italia. Questo è il vero male che oggi colpisce Torino e questa fabbrica, ed è il motivo per cui rischiamo di chiudere. Siamo stati acquistati dai francesi che sanno benissimo tutelare i loro interessi, ma non quelli italiani. E non sono stati assolutamente sostenuti da chi avrebbe dovuto e chi ha goduto delle fortune dell’auto a Torino, cioè la famiglia Agnelli, rappresentata oggi dagli Elkann».

E il futuro è sempre più nero: c’è chi ipotizza la chiusura entro sette anni. «È una proiezione corretta, dovuta al fatto che l’età media dei lavoratori è sempre più alta: questo è lo stabilimento d’Europa forse più vecchio e rischia di spegnersi da solo naturalmente, se non vengono dati nuovi modelli racconta ancora Gianni Mannori -. Oggi come ieri il vero problema di questo stabilimento non è l’elettrico e non è la transizione energetica, quanto il fatto che non sono stati dati altri tipi di vetture da produrre da anni, né a benzina, né a gasolio, né elettrici. L’ultimo assegnato è stata proprio la Cinquecento elettrica, che nel primo anno e mezzo ha avuto numeri tali da riempire i concessionari, ma che oggi non vede il recepimento da parte del mercato. È un tipo di auto vecchia che va sostituita e per farlo si parla del 2028, ma a quella data, andando avanti così, non ci arriveremo».

 

 

 

SILENZIO IN PISTA

Qui a Mirafiori, oltre le poche auto parcheggiate e lo scarno numero di operai all’uscita a fine turno, a colpire è il silenzio. Ti aspetti caos, rumore, brusii e invece sembra di essere nella sala d’attesa di un medico, con poche persone che sussurrano e una quiete a tratti imbarazzante. Se ti incammini a destra dell’ingresso 2, dove al di là della recinzione c’è la pista di prova dei bolidi, appare tutto surreale. «Qui un tempo si veniva accompagnati ininterrottamente dal rombo delle Maserati e dei prototipi che giravano, adesso al massimo puoi ascoltare il cinguettio degli uccellini», scherza un operaio. E più ti avventuri per i 10 km del perimetro di Mirafiori, più ti imbatti in panorami da depressione. Le 30 porte d’ingresso sono quasi tutte sigillate e se metti il naso oltre le inferiate scorgi solo sterpaglie, metri e metri di vuoto, uffici in disuso.

Come quelli della palazzina centrale all’ingresso 5, interamente rivestita di pietra bianca, che si affaccia su corso Agnelli. Qui, dove entravano l’Avvocato, i dirigenti, gli impiegati, i tecnici e gli ingegneri e dove sono stati progettati i prodotti Fiat più avanzati, è tutto chiuso. Una Cinquecento rosa è rimasta come simbolo sulle scale esterne, sotto i marchi Abarth, Lancia, Fiat, Alfa Romeo e Jeep, ma gli uffici dentro sono stati svuotati e gli impiegati sono stati spostati in altri capannoni. Ed è così ovunque, man mano che si procede per gli altri ingressi, passando dal 7 che ospitava gli ingegneri e al 9 dominato dalla centrale termica, un gigante che alimentava tutto lo stabilimento: potrebbe fornire riscaldamento sufficiente per 30 mila appartamenti e la sua forza potrebbe alimentare tutto il fabbisogno di energia elettrica di 270 mila famiglie, ma ora è utilizzata solo al 10 per cento.

LE CASE FIAT

Un discorso a parte, poi, lo merita l’area TNE (Torino Nuova Economia), che è stata costituita nel 2005 con la partecipazione della Regione Piemonte, della Provincia di Torino, del Comune di Torino e della stessa Fiat. «A questa nuova società vennero ceduti 300 mila metri quadrati di Mirafiori facendo incassare alla casa automobilistica 67 milioni di Euro- viene spiegato nel rapporti della Fiom -. In cambio si ottenne l’impegno di realizzare la linea della Grande Punto alle Carrozzerie per dare fiato allo stabilimento, azzerare la cassa integrazione e ottenere l’arrivo di una nuova vettura che venne messa in produzione due anni dopo (Alfa Mi.To), ma dopo questi 2 modelli (attualmente fuori produzione) lo “scambio” non portò nessun’altra produzione. Oggi al suo interno c’è una sede del Politecnico di Torino: nelle intenzioni avrebbero dovuto spostarsi qui altre aziende, ma tutt’ora l’area è ancora desolatamente vuota». Come sono vuote le vie dall’altro lato dello stabilimento, quelle dei palazzoni delle Case Fiat. Là dove un tempo c’erano bambini, negozi, giovani famiglie e vita, ora ci sono soltanto anziani chiusi in casa all’ombra di un colosso - come Mirafiori - che sta tristemente per implodere. E, che, secondo i più, ormai ha gli anni contati. Ma tra gli operai gira una battuta per sdrammatizzare. Quando qualcuno, preoccupato per la cassa integrazione, chiede «Ma secondo voi Mirafiori chiuderà?», i colleghi rispondono «È già chiusa, apre solo ogni tanto».

 

 

 

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