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Snowfarming, neve in freezer per sciare d'estate: la tecnica che affascina Cortina

Luca Puccini
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Metti la neve in freezer. Detto così può suonare come un pleonasmo: il freddo, le temperature sotto zero, quella coltre bianca che una volta era perenne e adesso, invece, quando va bene resiste solo lassù, sul cucuzzulo, sul ghiacciaio in quota, ma quando va male bisogna spararla artificialmente anche a Capodanno. Però non c’è mica bisogno di congelarla, la neve. Oppure sì. Perché in realtà, nella realtà montana, l’idea non è tanto surreale: lo fanno, da tempo, in Valtellina. Lo fanno, da anni, anche in Trentino.

E lo faranno, o meglio, stanno pensando di farlo, a partire dal 2025, in Veneto. A Cortina d’Ampezzo, sulle Dolomiti, una delle mete turistiche d’eccellenza per lo sci italiano. Al Col Gallina, che fa parte del comprensorio gestito dalla società Ista, 117 metri di dislivello tutti curve e slalom per gli amanti del carving e una stagione che, di per sé, è già adesso invidiabile: ha aperto gli impianti l’11 novembre, li chiuderà la settimana prossima (il 19 maggio) e a leggere i calendari dello sci italiano è un mezzo record. Anzi, è un record pieno. Quasi nessuno scia così tanto. Ma i veneti, che da buona gente di montagna sono anzitutto persone pratiche, guardano al dopo. Nel senso che ieri è andata benissimo (400mila passaggi registrati), oggi i numeri parlano di un incremento che potrebbe toccare oltre il 10% e domani di opportunità ce ne sono sempre. Solo bisogna saperle sfruttare.

 


«Pensiamo di ricorrere allo snowfarming», spiega al Corriere del Veneto Alberto Dimai, che è il presidente della Ista, «in modo da accumulare la neve di fino maggio per poterla riutilizzare con certezza dall’inizio di novembre. Questo consentirebbe, agli sci club in particolare, di poter contare su un luogo dove fare allenare i propri atleti senza salire sui ghiacciai». D’estate le discese sulle quali è possibile scaldare i polpacci, in Italia, si contano nell’ordine di una: il ghiacciaio dello Stelvio, sopra Bormio (Sondrio). Per il resto niente. Ecco perché, tutto sommato, lo snowfarming, che è esattamente quel che la parola (inglese) dice, cioè la “fattoria della neve”, un’enorme ghiacciaia del ghiaccio, una tecnica che grazie a teli termici, segatura quanto serve, cippato, paglia o schiume polimeriche, riesce a isolare la neve dall’ambiente, dal sole e dal calore, e a mantenerla più o meno intatta, non è una pensata tanto campata per aria. Piace no ai talebani dell’ecologia estrema (dicono che non serva a un tubo), ma di esempi ce ne sono già diversi (e alcuni fatti proprio con l’intento di salvarlo, ’sto benedetto freddo alpino).

 


A Livigno i valtellinesi (altra gente concreta che ci tiene all’ambiente naturale nel quale è nata e vive) “stocca” da anni circa 45mila metri cubi di neve, nella piana centrale del paese, coprendola con teli di segatura e poi con “cellofan” geo-tessili e all’occorrenza (le occorrenze sono due: una gara di sci di fondo delle contrade, in costume tipico, che si tiene per le vie della cittadina in agosto e l’apertura anticipata rispetto a tutti gli altri comprensori dell’anello di sci di fondo professionista a ottobre) la tira fuori e la usa. Esattamente come facciamo noi comuni mortali con i piselli stipati nel congelatore di casa: l’unica differenza è che noi, i piselli, ce li mangiamo, loro, i livignaschi, la neve la usano per sciare. 

 

 

Sul ghiacciaio del Presena, in Trentino, inoltre, da oltre in decennio, a giugno, compaiono quei teli geotessili che schermano i raggi del sole e limitano il riscaldamento del manto nevoso: è vero, non fermano il fenomeno perché non incidono sulle cause, però qualcosa fanno lo stesso e hanno un effetto positivo (nel 2021 è stato stimato abbiano ridotto l’ablazione del ghiaccio del 52%). A Cortina, per il momento, tocca aspettare. Anzitutto il via libera della Regione e poi le operazioni sul campo (pardon, sulle piste) che non sono così immediate. Forse per il prossimo autunno, obiettivo Olimpiadi 2026.

 

 

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