Cerca
Cerca
+

Papa Francesco, per la sinistra ormai è rimbambito

Papa Francesco

Daniele Dell'Orco
  • a
  • a
  • a

C’è una scena di uno dei più celebri film d’animazione di sempre, Toy Story, quella in cui un ragazzino, Andy, getta nella spazzatura il pupazzetto protagonista della saga, Woody, pronunciando le parole «non voglio più giocare con te», che è divenuta celebre sui social sotto forma di meme. Rappresenta alla perfezione la tendenza a mettere da parte, per noia o per convenienza, qualcosa che fino a poco tempo prima sembrava indispensabile, innovativo e irrinunciabile. Nel cestone dei giocattoli in disuso, insieme a Woody la sinistra italiana ha scelto di gettare Papa Francesco, la cui santità dopo annidi celebrazioni è stata disconosciuta una volta per tutte a seguito del suo perentorio no ad ammettere omosessuali in seminario e della freddura, pronunciata lunedì di fronte a oltre 200 vescovi italiani nell’Aula del Sinodo in apertura dell’assemblea generale della Cei, sull’eccesso di «frociaggine» in giro.

La stampa di sinistra in un colpo solo ha messo in soffitta tutti i vademecum di linguaggio inclusivo, di tolleranza e di superamento delle identità nazionali. Così c’è chi dice che il Papa non conosca bene le sfumature dell’italiano, chi invece è convinto che ci sia un preciso calcolo politico alla base dell’utilizzo di quel termine, «frociaggine», chi ancora sfoggia il solito élitismo prendendosela con Bergoglio reo di utilizzare troppo spesso termini ed espressioni spiazzanti, spesso mutuate da stereotipi e gergo iper popolare o lo ritiene inadeguato ad affrontare discorsi a braccio. Oltre a «frociaggine» ricordano, come sceglie di fare il Corsera, altri virgolettati passati alla storia come «zitellone» rivolto alle suore, o i cristiani che «non devono fare i figli come i conigli», o il «pugno in faccia» a chi insulta «la mia mamma». Altri fogli, come il Fatto Quotidiano, strautilizzano un’espressione, «Papa argentino», calcando sulla provenienza del Pontefice, cosa che invece assolutamente non si può fare ad esempio con gli stranieri che commettono reati, anche gravi, in Italia. Quelli sono semplicemente «uomini». Repubblica, riprendendo Dagospia, la butta prima, anche in modo raffinato, in politica, spiegando che Francesco avrebbe voluto chiudere in partenza la questione dell’ammissione degli omosessuali ai seminari poiché sarà con molta probabilità all’ordine del giorno del prossimo sinodo al pari delle donne diacono (anche in questo caso Bergoglio è contrario).

 

 

 

Poi invece si sbraca del tutto, ospitando un commento al vetriolo di Luigi Manconi: «Nella pastorale di Bergoglio, in materia di omosessualità, molti sono stati i passi indietro e le incongruenze. La chiesa abbraccia i gay ma non ne riconosce quell’elemento fondamentale della loro personalità che è la sfera erotica. Non solo, come già a proposito dei sacramenti peri divorziati, la massima indulgenza si accompagna a una dottrina che non modifica i suoi divieti. Le parole del Papa rappresentano una vivida testimonianza della sua personalità.Bergoglioè un maschio latino eterosessuale di 87 anni e come la gran parte dei suoi simili ha una sensibilità problematica nei confronti dell’omosessualità». Manconi, a proposito di Toy Story, è lo stesso che ha a lungo considerato Bergoglio il suo pupazzetto preferito, già nel lontano 2014 quando, da presidente della Commissione diritti umani, elogiava il Papa e sosteneva che fosse «avanti» anche rispetto ai leader europei quando parlava di materie giuridiche, di contrarietà all’ergastolo, di critiche al regime carcerario, di richiami alla dignità della persona, di «cautela nella pena».

 

 

 

Poi ancora, nel 2021, considerava Bergoglio un «rivoluzionario» quando mise in atto una «svolta sul sesso» parlando dei peccati della carne come trascurabili se paragonati alla superbia e all’odio di un uomo contro un altro uomo. Oggi invece che a Mancone e alla sinistra non piace più, non sarebbe altro che un vecchio omofobo rincoglionito macchiato dal peccato originale del suprematista bianco. Dopo il dietrofront di martedì («il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri», aveva dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni), sono arrivate ieri in sostegno del Santo Padre anche le parole del segretario generale della Cei, Giuseppe Baturi, che nega la natura dispregiativa delle parole del Papa poiché sarebbero state pronunciate «in un contesto assolutamente confidenziale, riservato, quindi rispetto a quanto trapelato non ho nulla da aggiungere rispetto a quanto detto dalla Sala Stampa, si è trattato di un’ora e mezza due ore di dialogo in cui le osservazioni erano tra le più generali e le più particolari». Solo che questa, nello specifico, ha ormai spalancato le gabbie alle fameliche fiere della sinistra.

 

 

 

Dai blog