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Chiara Petrolini, i due neonati sepolti a Parma e l'immaturità del male

Giordano Tedoldi
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La vicenda di Chiara Petrolini, la ventiduenne di Traversetolo - in provincia di Parma- agli arresti domiciliari da venerdì mattina con le gravi accuse di omicidio premeditato e soppressione di cadavere, ci si presenta come un evento inaudito. I fatti sono noti: il rinvenimento del corpo e dei resti di due neonati, frutto di altrettante gravidanze tenute nascoste a tutti, sepolti nel giardino della villetta in cui vive con i genitori.

Uno, partorito il 7 agosto, è stato ritrovato in un sacchetto due giorni dopo. Dell’altro, nato a metà maggio del 2023, è stato diffuso il rinvenimento dello scheletro il 13 settembre scorso, nello stesso luogo del primo. Interrogata dai carabinieri, la ragazza aveva spiegato di avere nascosto il corpo del neonato (si riferiva a quello ritrovato ad agosto, allora negava l’altra gravidanza) perché «lo voleva vicino a sé». Vicino – come anche il secondo bambino, anche quello nato intorno alla quarantesima settimana -, ma nascosto, sepolto, occultato.

 

MORTI INIQUE

Dicevamo: questi i fatti, e persino il loro resoconto ha qualcosa di assurdo, di surreale, di ineffabile. Una ragazza di poco più di vent’anni che tiene nascosta non una, ma due gravidanze, mostrando anche, come riferiscono i testimoni, la pancia scoperta, e che, agendo in totale autonomia (fino a prova contraria), effettua ricerche in rete su come nascondere la gravidanza, come abortire o come indurre il parto, e anche, a parto avvenuto, dopo quanto tempo “puzza un cadavere”. Una ragazza di vent’anni che manda a effetto il suo disegno e, poco più di un giorno dopo il parto indotto del secondo neonato, anche qui come da programma, prende l’aereo per un viaggio negli Stati Uniti. Lei ha affermato che entrambi i bambini erano nati morti, ma mentre sono ancora in corso accertamenti sul primo, l’autopsia sul secondo la smentisce: il bimbo ha respirato, quando è nato il cuore batteva. La morte è intervenuta per emorragia perché il cordone ombelicale non è stato pinzato: la ragazza, interrogata, aveva dichiarato di essere svenuta e che al risveglio il neonato era morto.

 

IL SUO «PROGETTO»

Per tutte queste ragioni, gli inquirenti parlano del «disegno di Chiara». Un progetto complesso che, incredibilmente e sciaguratamente, visti i milioni di modi in cui avrebbe potuto fallire, ha funzionato. O meglio, ha funzionato fino alla sepoltura del secondo bambino, per poi implodere, anzi deflagrare, con una detonazione di proporzioni, ripetiamo, inaudite: tanto che nessuno – ne siamo certi, nemmeno gli inquirenti – avrà mancato di esserne profondamente scosso. Nel tentativo, arduo, di dare un’interpretazione all’accaduto (un’interpretazione psicologica, umana, quella prettamente penale è ovviamente compito dei magistrati), dobbiamo partire proprio dal «disegno di Chiara» e chiederci, di là da tutto l’orrore che inevitabilmente suscita, a che cosa puntasse. Puntava al nascondimento, all’occultamento. Tutto il «disegno di Chiara» è all’insegna del celare, del non fare vedere, non far sapere.

 

PURCHÉ NON SI VEDA

E dunque, la pancia non si deve vedere. La gravidanza non si deve vedere. Il parto non si deve vedere. Finge di avere normalmente il ciclo (che, naturalmente, non si vede perché non c’è). Ostentava il consumo di sigarette elettroniche o con tabacco oppure anche con marijuana, beveva alcol, proprio come fanno le ragazze che non devono preoccuparsi delle conseguenze di una gravidanza. Infine, conseguenza ultima e allucinante, i neonati non si devono vedere: li nasconde seppellendoli nel giardino della sua villetta, invisibili a tutti, vicini a sé ma obliterati. Una ostinata fuga dalla realtà, fino al momento in cui tutta questa gigantesca, incredibile, assurda manovra di invisibilità, di negazione– così direbbe la psicanalisi – deflagra per convertirsi nel suo esatto opposto: tutto il mondo, oggi, conosce il nome di Chiara Petrolini e quel che ha fatto. Il massimo nascondimento diventa la massima pubblicità.

 

EFFETTO OPPOSTO

Il «piano di Chiara», dunque, rivela di avere portato all’esatto contrario di quel che si prefiggeva. Se invece di lavorare al suo “piano” di invisibilità – per vergogna? per paura? per non essere giudicata, come lei stessa ha detto? per senso di onnipotenza?-, paradossalmente, Chiara avesse optato per la visibilità, magari praticando l’aborto, avrebbe bensì attirato su di sé le temute malelingue e i pettegolezzi di paese, avrebbe dovuto discuterne col fidanzato – che risulta ignaro di tutta la faccenda – e, cosa ancora più dura per lei, avrebbe attraversato qualcosa che, evidentemente, la terrorizzava oltre ogni dire; ma certo la notizia, il suo nome, la sua vita intima, non sarebbero finiti nelle prime pagine di tutti i giornali, e in prima posizione sugli schermi di tutti i dispositivi. L’intrico, la contraddizione, il rimosso che riemerge fatalmente, sono, come si vede, temi centrali in questa storia. Il bisogno di negazione della ragazza sembra spiegare anche una sua apparente imperturbabilità, insensibilità, non percezione della portata delle sue azioni, quali emergono dai suoi ricordi, dalle sue ricostruzioni. Ora quel preteso nulla è diventato indelebile e la segnerà tragicamente, per sempre.

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