Sergio Ramelli è diventato anche un caso editoriale. In occasione del cinquantesimo anniversario della morte, infatti, sono cinque i volumi sulla sua storia che sono arrivati in libreria. Si tratta di opere molto diverse tra loro, e scritte da persone molto diverse tra loro, che però nell’insieme contribuiscono a far capire meglio quello che è successo a questo ragazzo di diciotto anni, militante del Fronte della gioventù ucciso da un commando di estremisti di sinistra. Di questi libri si è parlato anche ieri, in un dibattito con gli autori che si è tenuto all’interno dell’evento “Le idee hanno bisogno di coraggio. In ricordo di Sergio Ramelli a cinquant’anni dal suo assassinio”, organizzato a Milano dal circolo culturale “Il Tricolore” con il contributo della Regione Lombardia.
Il primo, in ordine di tempo, è “Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura”, scritto da Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini. La prima edizione risale al 1997, ma quest’anno è stato ristampato da Idrovolante con una prefazione di Ignazio La Russa, presidente del Senato, e una postfazione di Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione. Un volume imprescindibile, questo, per chi voglia conoscere la storia di Sergio, e infatti viene citato anche in tutti quelli arrivati dopo.
È già un successo, intanto, il libro di Giuseppe Culicchia, “Uccidere un fascista. Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio” (editore Mondadori). Nel testo Culicchia, scrittore di successo e non schierato a destra, parla direttamente a Sergio, raccontandogli anche la storia del cugino dell’autore, Walter Alasia, militante delle Brigate rosse ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Due storie molto diverse, quelle di Ramelli e di Alasia, che servono però a Culicchia anche per interrogarsi sulla possibilità di una memoria condivisa sulla violenza che ha diviso l’Italia negli anni Settanta.
Allarga lo sguardo, invece, Nicola Rao, direttore della Comunicazione Rai, che nel suo “Il tempo delle chiavi. L’omicidio Ramelli e la stagione dell’intolleranza” (Piemme) racconta molto bene la Milano violenta degli anni di piombo. Soffermandosi in particolare sul fenomeno dei “cucchini”, le aggressioni a colpi di spranga o di chiave inglese tanto in voga tra gli estremisti di sinistra. “Dai primi anni Settanta in poi”, scrive Rao, “nella sola Milano sono stati circa duecento i cucchini (quelli denunciati, il che significa che probabilmente sono stati anche di più) ai danni di militanti e simpatizzanti di destra o presunti tali, ma anche di militanti cattolici, e non pochi quelli che hanno coinvolto gruppi dell’estrema sinistra in una lunga e sanguinosa faida interna”. Insomma, a conti fatti, le vittime potevano essere molte di più...
E arriviamo agli ultimi due. Pino Casamassima, giornalista e scrittore, ha pubblicato “Hazet 36. Sergio Ramelli, storia di un omicidio politico” (Solferino), arricchito da una testimonianza di Guido Salvini, magistrato che si è occupato del caso. È infine uscito solo da pochi giorni “Il ragazzo che non doveva morire. L’omicidio Ramelli e cinquant’anni di ferite”, scritto dalla giornalista di Repubblica Federica Venni con una nota conclusiva del sindaco di Milano, Beppe Sala. “A distanza esatta di mezzo secolo”, scrive Sala, “è precisa e definitiva la condanna umana che deve accompagnare ogni giudizio su quello che accadde allora. Non c’è giustificazione storica né ideologica a quanto è successo”.