Papa Leone XIV, dopo 47 anni di attesa non è ancora tempo per l'Italia

Dopo Albino Luciani, il Pontefice dei 33 giorni, i cardinali eleggono il quarto Papa straniero. Stavolta dal "Nuovo Mondo"
di Marco Patricellivenerdì 9 maggio 2025
Papa Leone XIV, dopo 47 anni di attesa non è ancora tempo per l'Italia

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Dopo tanto latino, latinorum e italiese, il Vaticano parla inglese. Un mondo nuovo guarda al Nuovo mondo, con ulteriore strappo alla tradizione, alle attese e ai pronostici.

Fumata bianca al quarto tentativo per il ruggito di Leone XIV, primo statunitense, e altra interruzione alla teoria di pontefici italiani, con almeno due papabili usciti dal conclave così come erano entrati: da cardinali. Robert Francis Prevost sposta l’ago geografico dal sud dell’America, quella latina di Bergoglio, al nord anglosassone, ma da buon americano ha nelle vene sangue italiano, francese e spagnolo.

La vecchia Europa e i duemila anni di storia della Chiesa gli appartengono come patrimonio culturale. Il suo particolare accento nel parlare la lingua di Dante lo renderà familiare, come accaduto con i suoi tre predecessori.

L’ultima volta di un italiano fu con Albino Luciani, una meteora che brillò 33 giorni, dal 28 agosto al 28 settembre 1978, e improvvisamente si spense. Due generazioni sono passate dall’elezione di Giovanni Paolo II, quando i romani ascoltarono il suo cognome polacco e dalla folla di San Pietro si levò una voce anonima ipotizzando che fosse africano. Sono passati quasi quattro decenni, eppure in tanti non sanno ancora né scrivere né pronunciare Wojtyła, perché tutte le strade portano a Roma ma non tutto dal Vaticano è sempre chiaro e netto.

LA SVOLTA DI WOJTYLA

Fosse o meno lo strumento dello Spirito santo che l’aveva scelto da un Paese slavo sotto tallone comunista, il primo papa straniero dopo 455 anni la storia la cambiò e la scrisse personalmente; fosse stato o meno per l’intercessione dello Spirito santo in conclave, assunse un significato del tutto particolare il fatto che dopo un polacco la fumata bianca sancì l’ascesa del tedesco Joseph Ratzinger, come se la storia volesse davvero chiudere i conti con il passato e le sue divisioni, grazie al passaggio di testimone dal giovane che vide nel 1939 la sua Polonia schiacciata dal Terzo Reich al ragazzino obbligato nel 1945 dal regime hitleriano a servire in uniforme nella contraerea. Tutto era ed è possibile lungo le vie misteriose e infinite della fede e della Provvidenza.

Poi, con mezzo giro di mappamondo, ecco dalla lontana Argentina il pontefice filiazione di quell’Italia che aveva cercato speranza e futuro in altri Paesi attraversando l’oceano. Bergoglio aveva le radici familiari in Italia ma il cuore e la formazione cattolica erano sudamericane. Per lui il ritorno a casa come vescovo di Roma fu la consacrazione di una missione, spalancata all’improvviso (e con il solo precedente di Celestino V nel Duecento) dalle dimissioni di Benedetto XVI.

Il papa teologo le annunciò in latino e Giovanna Chirri dell’Ansa l’11 febbraio 2013 le diffuse urbi et orbi dimostrando che la conoscenza di quella lingua non è utile ma utilissima. E non solo a ogni morte o elezione di papa. Straniero ma non estraneo, Prevost allunga la scia dei papi venuti da lontano. Il ritorno di un italiano era atteso ma non era un dogma. Quando la più antica monarchia del mondo, per di più elettiva e assoluta, si insediò a Roma, non poteva che farlo al centro del mondo.

Non poteva che parlare in latino, non poteva che irraggiarsi con la predicazione conquistando quell’impero che le avrebbe dato forza e potere, da Costantino a Giustiniano, e al quale si sarebbe sostituito nell’universalità esercitando il potere temporale e cercando per secoli di mettere sotto tutela e sotto controllo re e imperatori. Era il papa a fare dei regnanti l’espressione della volontà di Dio, incoronandoli per mille anni, da Carlo Magno fino allo strappo di Napoleone I, che la corona se la pose in testa da solo smantellando pure il Sacro romano impero. L’Italia fu sempre nevralgica, e non solo perché vi sorgeva lo Stato del papa-re costruito in premessa su una falsa donazione, ma perché qui si facevano e disfacevano alleanze e giochi di potere, si tessevano trame e si tiravano i fili degli equilibrismi internazionali, davanti e soprattutto dietro le quinte. Più scoperte, invece, le ingerenze delle corti e dei regnanti.

IL DIRITTO DI VETO

Nel 1903, alla morte di Leone XIII, l’imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe esercitò per l’ultima volta il diritto di veto che spettava ai sovrani cattolici, sbarrando la strada al cardinale Mariano Rampolla da lui ritenuto troppo vicino alle posizioni della Francia. Lo stesso Francesco Giuseppe nel 1848 aveva minacciato lo scisma per la presenza delle truppe pontificie al fianco di Carlo Alberto di Savoia e Pio IX le aveva dovute ritirare dalla prima guerra d’indipendenza italiana. I papi erano da tempo una questione italiana, forse proprio perché l’Italia non era nazione ma un’«espressione geografica», secondo l’efficace coniazione linguistica del principe di Metternich.

I papi italiani da Adriano VI (1522-1523) in poi, in quasi mezzo millennio hanno attraversando epoche, rivoluzioni, correnti, mode, eventi, disastri come due guerre mondiali, il suicidio dell’Europa, il bipolarismo ideologico, combattendo l’ateismo di stato nell’Unione sovietica, il totalitarismo pagano nazista, con una miscela non sempre riuscita di encicliche e di silenzi, sempre sul filo del rasoio. Su 266 papi, gli italiani sono stati 217, e italiane sono state le più forti ingerenze sull’elezione, nonostante la frammentazione politica.

L’italianità nominale del trono di Pietro ha significato vicinanza alle cose di casa, dall’altra sponda del Tevere, che da qualche parte è stata considerata intromissione sulla politica laica. Nel regno dei papi stranieri ritroviamo il crollo del muro di Berlino, la globalizzazione, la caduta e l’ascesa di protagonisti della storia, l’espansione islamica e terroristica, il rimescolamento dei centri di potere e dei rapporti di forza internazionali, la pervasività dell’informatica e dei social, la crisi religiosa, e pure quella che Bergoglio ha chiamato «la terza guerra mondiale a pezzi».

La piovra non ha perso i tentacoli, non sono caduti i tabù col penultimo Gesù, sono arrivati uomini dal Continente nero, e dopo Miss Italia non è arrivato il papa nero, come cantavano i Pitura Freska nel 1997 senza che nessuno si scandalizzasse. È arrivato dal Nuovo mondo, e non è la sola novità.