I teli grigi, stretti alla cancellata e agli alberi, formano un recinto. Dentro non ci sono mucche né pecore né asini. Ci sono donne velate che attendono l’inizio della preghiera. A terra i tappeti su cui inginocchiarsi: gentile concessione... Gli uomini sono più avanti, di fronte all’imam, e hanno la vista libera su ogni lato. Tu chiamale, se vuoi, differenze. Un film già visto, purtroppo: è il marchio di fabbrica dell’islam quando si tratta di celebrare una ricorrenza religiosa. L’Eid al-Adha, ovvero la “Festa del sacrificio” che prevede pure lo sgozzamento di animali, non fa eccezione. Roma (anche a Mestre scenario simile), Anno Domini 2025: ma siamo in Italia o in Bangladesh? Soprattutto: davanti alle immagine circolate ieri, sui marciapiedi della Capitale e in un parco sulla terraferma veneziana, i nostri occhi sono stati così rapiti da quelle gabbie per donne (prima o poi ci diranno che sono privè?) che non ci siamo accorti dei sit-in delle transfemministe di “Non una di meno” e delle varie associazioni sempre in prima linea per gridare al patriarcato. Come?
Non si sono fatte vive? E noi che pensavamo che si battessero per la parità di genere... Illusi. A Mestre, ciliegina sulla torta, la preghiera si è conclusa con una bella foto dei referenti della comunità bengalese davanti alla planimetria della futura moschea che sarà realizzata in città. Ma in tutta Italia, ormai, il modus operandi è questo. Laddove non ci sono recinti, ci sono comunque donne che pregano separate da padri, mariti e figli. «Lo impone la nostra religione», dicono i musulmani. L’articolo numero 3 della Costituzione italiana, al primo comma, dice però che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale». Esattamente l’opposto di quanto si verifica durante le festività care ai fedeli di Allah. E la polemica politica, inevitabilmente, s’infiamma. «Uno scenario che si ripete, come già accaduto durante il Ramadan, e che rivela la scarsa considerazione delle donne in molte comunità islamiche. È possibile accettare che in parchi e piazze pubbliche si svolgano pratiche che negano apertamente la parità di genere? È inaccettabile che, in Italia, tante donne siano costrette a subire simili forme di segregazione: veli imposti, preghiere dietro barriere, matrimoni combinati e spesso una vita priva di libertà», attacca Silvia Sardone, vicesegretario ed europarlamentare della Lega. «Questa è la realtà di migliaia di donne e ragazze musulmane, spesso ignorata da istituzioni e opinione pubblica. Vogliamo finalmente aprire gli occhi su comportamenti che contrastano apertamente con i nostri valori e con le conquiste dei diritti femminili? Mi chiedo dove siano le femministe e la sinistra di fronte a tutto questo».
Non è tutto. Ieri, a Prato, ottocento musulmani bengalesi hanno occupato il piazzale interno della parrocchia di San Domenico per una preghiera comunitaria. «Una scelta sconcertante, soprattutto in un momento storico in cui l’islamizzazione dell’Europa non è più un rischio ipotetico, ma una realtà che suscita crescente preoccupazione in molti governi del continente», sottolinea l’europarlamentare leghista Susanna Ceccardi. A Monfalcone, per la “Festa del sacrificio”, migliaia di islamici hanno ottenuto un centro sportivo di proprietà della chiesa e hanno pure coperto con un telo la statua di Gesù Cristo. Non ci sta Anna Maria Cisint, anche lei europarlamentare del Carroccio: «L’Italia sta arretrando continuamente ed è un grave errore, bisognerebbe lavorare per riportare le persone nelle chiese anziché cedere all’islam pezzi così importanti». Le donne velate, però, non sono le uniche a finire nell’angolino. Anche il buonismo degli accoglienti di casa nostra è ormai rinchiuso dentro un recinto: quello della vergo gna.
