Se il sistema scolastico italiano funziona, s’innesca la polemica. Il cortocircuito ideologico del momento arriva da Bologna e riguarda il giovane Nadir, 20enne pachistano unico bocciato della scuola all’esame di maturità dell’Istituto professionale Fioravanti. Una storia che ha fatto subito rumore. I compagni di classe, tutti presenti il 1 luglio scorso per supportarlo, hanno scritto una lettera per difenderlo: «In questi cinque anni ha sempre messo tutto il suo impegno e la sua volontà, nonostante le difficoltà legate alla lingua, alla lontananza dal suo Paese e dalla sua famiglia». E i docenti, o perlomeno quelli “interni”, si sono spesi per lui fino all’ultimo. Nadir è arrivato in Italia nel 2020, ha imparato l’italiano durante il percorso scolastico, ha fatto due ore di viaggio ogni giorno per frequentare le lezioni. Non ha mai avuto debiti, è stato tutor per altri studenti stranieri, ha affrontato l’orale con impegno.
Eppure è stato bocciato. E allora apriti cielo. Questa bocciatura è stata considerata un’ingiustizia visti gli sforzi integrativi compiuti dal ragazzo, e addirittura gli insegnanti che lo hanno sostenuto se la prendono col sistema «inadeguato», fatto di «percorsi personalizzati fragili» e di carenza di strumenti per accompagnare i cosiddetti NAI, i “nuovi arrivati in Italia”. Ciò implicitamente sta a significare che senza il sistema delle commissioni d’esame miste, cioè con metà docenti interni all’istituto e metà esterni reintrodotte con la legge finanziaria del 2001 (ministro Letizia Moratti) e confermate nel 2007 (ministro Giuseppe Fioroni), i soli prof. interni avrebbero certamente promosso il ragazzo. Per compassione. Il fronte dei pietosi sostiene che di dieci studenti stranieri in quella classe, sette hanno abbandonato prima della maturità. Nadir era uno dei due rimasti. E che in generale per i NAI sia troppo complicato ottenere risultati per l’handicap linguistico. Ma tutto questo, per quanto doloroso, non può diventare un alibi. Perché l'alternativa sarebbe trasformare un esame in un atto simbolico. Se Nadir non ha raggiunto le competenze minime richieste, la bocciatura non è un’ingiustizia, bensì un dovere.
Chi invoca il «merito dell’impegno» dimentica che il compito della scuola è premiare il merito delle competenze, non l’emotività del percorso. Non si tratta di punire la fatica, ma di non premiare un risultato mancato. Anche nell’interesse dello stesso Nadir, una maturità regalata oggi altro non sarebbe che un fallimento domani, quando il mondo del lavoro o l’università presenteranno conti ben più salati. La vera discriminazione sarebbe stata abbassare l’asticella per alcuni, trasmettendo l’idea che, per certi studenti, sia già un successo arrivare in fondo. È un messaggio tossico e che non aiuterebbe certo gli studenti come Nadir che, esattamente come tutti gli altri studenti, avranno la possibilità di prepararsi meglio l’anno successivo. Chi oggi accusa la scuola di «non aver capito» Nadir, in realtà le chiede di non fare il suo mestiere. La scuola ha il dovere di accogliere, certo, ma anche di misurare, selezionare, valutare. Smettere di farlo, per pietà o timore, sarebbe il modo più sicuro per distruggerne la credibilità. E per condannare proprio i più fragili ad un futuro costruito sul vuoto.