Mussolini, il tentativo estremo per fermare Hitler

di Marco Patricellidomenica 24 agosto 2025
Mussolini, il tentativo estremo per fermare Hitler

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Una conferenza internazionale per salvare l’Europa dalla guerra, con l’Italia protagonista. Alla fine di agosto del 1939 era questa l’ultima carta da giocare per disinnescare la crisi tedesco-polacca. Il mondo, però, non conosce i contenuti del protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov firmato a Mosca il 23, con la spartizione della Polonia, della Finlandia e degli Stati baltici concordata da Hitler e Stalin. Era il punto di non ritorno, anche se la diplomazia si illuse di poter impedire un nuovo conflitto mondiale. L’ambasciatore italiano a Parigi, Raffaele Guariglia, sondando il ministro degli affari esteri francese Georges Bonnet, aveva colto segnali di apertura su un eventuale intervento come mediatore di Benito Mussolini.

Mancano pochi minuti alla mezzanotte del 30 agosto quando il ministro degli esteri Galeazzo Ciano convoca l’ambasciatore francese a Roma, André François-Poncet, per informarlo che Mussolini vuole porre sul tavolo della diplomazia internazionale la proposta di una conferenza per discutere sulle disposizioni del trattato di Versailles che avevano originato le rivendicazioni tedesche sulla Polonia. Le Potenze coinvolte saranno Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia: le stesse della Conferenza di Monaco che aveva segnato il destino della Cecoslovacchia, con la stessa assurda filosofia di tenere fuori dalle trattative il Paese che più aveva da perdere dalle decisioni che sarebbero state assunte. L’incontro sarebbe stato fissato per il 5 settembre a San Remo.

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Ciano aveva fatto altrettanto con l’ambasciatore britannico sir Percy Loraine. In precedenza aveva telegrafato pure al ministro degli esteri Halifax che la mediazione del Duce era vincolata alla possibilità di portare «un grosso pegno» da offrire a Hitler. Era sottinteso che quel pegno era la città contesa di Danzica, come nel 1938 erano stati i Sudeti. Halifax aveva da un lato respinto la condizione («Danzica non può essere definita separatamente, ma fa parte delle trattative generali»), dall’altro incoraggiato l’Italia ad agire sul Führer per negoziare. E difatti, su incarico di Roma, alle 11.30 del 30 agosto l’ambasciatore a Berlino Bernardo Attolico si era presentato al Ministero degli esteri del Reich con un messaggio in cui Mussolini si proponeva come mediatore.

La risposta era stata però negativa. A Wilhelmstrasse gli avevano replicato che l’iniziativa sarebbe dovuta partire dalla Polonia «poiché le richieste erano già note». Era stato allora che a Mussolini era venuta l’idea di una seconda conferenza di Monaco, stavolta a San Remo, con lui nuovamente nel ruolo di salvatore della pace, e per questo aveva detto a Ciano di attivarsi di conseguenza. Quando questi aveva illustrato all’ambasciatore francese il progetto italiano, François-Poncet aveva accolto «la proposta con compiacimento e un po’di scetticismo», mentre il collega britannico Percy Loraine era apparso addirittura entusiasta.

Sul fronte londinese, Halifax si era dimostrato favorevole e pronto a sottoporlo al premier Neville Chamberlain. Ma non c’era tempo da perdere. L’ambasciatore a Berlino, alle 9 di quel 30 agosto, aveva telegrafato a Roma che «la situazione era disperata e (...) tranne vi sia un fatto nuovo, tra poche ore sarà la guerra». La sera prima, infatti, il Foreign Office aveva inoltrato un telegramma all’ambasciatore Nevile Henderson con cui comunicava l’impossibilità di garantire la presenza entro il 30 a Berlino di un plenipotenziario polacco, come reclamato dalla Wilhelmstrasse.

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Da Varsavia giungevano pure segnali negativi dagli ambasciatori francese Léon Noël e britannico Howard Kennard, concordi nel ritenere che la Polonia non avrebbe mai acconsentito all’imposizione di Hitler, sia formalmente per un blocco costituzionale (non era prevista la figura del plenipotenziario in casi come questo) sia sostanzialmente per una questione di prestigio internazionale che l’avrebbe posta in stato di assoggettamento. Kennard era stato ancora più esplicito, sottolineando che Varsavia aveva respinto le condizioni assai più miti di marzo, quando non godeva dell’appoggio militare franco-britannico e quindi avrebbe dovuto affrontare una guerra da sola, e non c’era quindi motivo perché dovesse adesso piegarsi con un trattato di alleanza pronto a scattare in caso di aggressione.

L’ambasciatore era favorevole a esercitare pressioni affinché venisse aperto un tavolo di trattative in un Paese neutrale come l’Italia. Anche perché nella notte del 26 agosto il presidente statunitense, Franklin Delano Roosevelt, aveva telegrafato una nota a Hitler: «Il presidente della Repubblica polacca (...) ha dichiarato che il governo polacco è disposto (...) a consentire di risolvere la controversia tra Polonia e Reich mediante negoziati diretti o una procedura di conciliazione». Il Führer non aveva neppure risposto. Voleva la guerra, non un accomodamento. La proposta italiana non solo non aveva nessuna possibilità di fare breccia nei suoi disegni, ma l’aveva persino infastidito. Il 5 settembre non ci sarà nessuna Conferenza di San Remo: il I la Wehrmacht aveva scatenato il Fall Weiss invadendo la Polonia e il 4 Gran Bretagna e Francia erano entrate in guerra contro la Germania.

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