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Castel d'Azzano, la firma falsa: cosa c'è dietro la strage dei carabinieri

di Roberto Tortoramercoledì 15 ottobre 2025
Castel d'Azzano, la firma falsa: cosa c'è dietro la strage dei carabinieri

3' di lettura

Si può morire per tanti motivi. Si può morire… per un frutteto. Ed è proprio per questo motivo che hanno trovato una tragica i fine i tre carabinieri in via San Martino 22 a Castel D’Azzano. Mentre i fratelli Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi si sentivano accerchiati, vessati da creditori, banche e tribunali. E hanno così trasformato la casa colonica in cui vivevano da sempre, ed ereditata dai genitori, in una bomba. Tutti e tre celibi, senza figli, da due anni attendevano lo sgombero. La casa era stata pignorata, poi era cominciata la procedura esecutiva che avrebbe dovuto concludersi con l’asta di vendita. E invece è diventata una tragedia di cui loro rischiano ora di essere accusati.

I guai iniziano quando Franco Ramponi chiede al Credito Padano un mutuo di 70 mila euro per impiantare un frutteto nelle terre di famiglia. Sandro Carra, avvocato che seguiva allora la banca, dice: “I pagamenti delle rate del mutuo cessarono quasi subito e noi avviammo una procedura esecutiva. Ramponi denunciò la perdita della carta di identità e uno scambio di persona per sostenere di non aver mai firmato quel mutuo. Poi disse che la firma falsa l’aveva messa suo fratello. Tesi difficile da credere sia perché parte di quel mutuo fu usata per pagare i suoi debiti sia perché il notaio e la banca li conoscevano bene”. Franco Ramponi, invece, raccontò all’Arena di Verona: “Il tribunale mi contesta di non essere rientrato da un debito fatto con la banca, ma che io non ho firmato. È stato mio fratello Dino ad accedere al prestito che non ha onorato, solo che ha firmato col mio nome, perché sono io il proprietario. Ci sono perizie calligrafiche che parlano chiaro: quella non è la mia firma”. Tutto inutile. La banca vince la causa in primo grado. Poi cede i crediti a una società specializzata nel recupero.

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Diceva invece la sorella Maria Luisa, accusata di aver appiccato il fuoco: “Mio fratello ha avuto un pignoramento ingiusto, hanno portato via tutta la nostra azienda agricola e adesso vogliono la casa. Oggi volevano fare lo sgombero e noi ci siamo opposti in tutti i modi, abbiamo riempito la casa di gas per riuscire a lottare. Sono cinque anni che lo facciamo contro gli avvocati che ci hanno rovinato. Cinque anni fa ci siamo trovati una firma falsa in un mutuo. Stiamo subendo calunnie di ogni tipo, non sappiamo più cosa fare, non abbiamo più nulla. Subiamo, subiamo… ci hanno portato via cose per un milione di euro di valore. Ci è rimasta solo la casa e ora vogliono portarci via anche quella. Ma faremo di tutto”.

Nel settembre del 2021 uno dei fratelli è salito sul tetto del tribunale di Verona. Minacciando di buttarsi giù. La sindaca di Castel D’Azzano ha raccontato al Corriere: “Non si erano mai rivolti al Comune per chiedere aiuto. Erano chiusi in loro stessi, isolati. Siamo riusciti con un piccolo stratagemma, mostrando di incontrarla per caso, a intercettare Maria Luisa. La nostra assistente sociale è così riuscita a instaurare un rapporto di fiducia. Abbiamo tentato un rapporto di mediazione con le autorità che stavano seguendo la loro vicenda giudiziaria che li vedeva coinvolti e l’abbiamo invitata per un paio di colloqui. Ma niente: Maria Luisa è rimasta sempre fredda, ferma sulla sua posizione, uguale a quella dei fratelli: ovvero non lasciare la loro casa”.

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