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Famiglia nel bosco, ecco chi sono e come vivono i "neorurali"

di Simone Di Meomartedì 25 novembre 2025
Famiglia nel bosco, ecco chi sono e come vivono i "neorurali"

3' di lettura

Nel silenzio dei colli tra Palmoli e San Buono c’è una comunità che vive come se il resto del Paese non la riguardasse più. Non protestano, non predicano, non cercano adepti. Si radunano attorno a un fuoco, parlano sottovoce, coltivano orti, allevano animali e costruiscono case di terra cruda. Attorno alla famiglia Trevallion-Birmingham, finita al centro di un caso che ha spaccato l’opinione pubblica per la decisione dei giudici di sospendere la patria potestà sui tre figli, si è stretto un gruppo di cosiddetti “neorurali” - così loro stessi accettano di essere chiamati - che da anni prova a fare ciò che molti sognano e nessuno ammette: tagliare i ponti con modernità e consumismo, sostituendoli con un’altra vita, magari più dura, certo più lenta, forse più “assoluta”. Per loro più gratificante. Un mondo parallelo, minuscolo e ostinato, che ora si ritrova esposto come mai avrebbe voluto. E che cerca di resistere come può. E che ora mostra appoggio e solidarietà agli amici: «Devono poter vivere come vogliono. Devono ridar loro i bambini».

Dentro questo cerchio, poco meno di una trentina di nuclei familiari, equivalenti a una sessantina di persone dell’Abruzzo meridionale, uomini donne e bambini, ha sposato la causa di Nathan e Catherine Trevillion, che poi è anche la loro. Non guru o peggio svalvolati, ripetono, ma compagni di un progetto che non ammette scorciatoie: autosufficienza totale, energetica, agricola, educativa e perfino spirituale. Qui niente è semplice. Per vivere fuori dai circuiti della modernità bisogna diventare un’enciclopedia ambulante: permacultura, agricoltura biologica, giardinaggio, allevamento, apicoltura, raccolta di piante selvatiche, conservazione del cibo, gestione dell’acqua, edilizia naturale, manutenzione senza tecnici esterni. Non è nostalgia bucolica: è un mestiere spietato che ti costringe a sapere tutto, sempre, subito.

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Il modello più citato si trova a centinaia di chilometri di distanza, nell’Appennino romagnolo. La “Fattoria dell’Autosufficienza”, così si chiama, è diventata un esempio mitizzato: 70 ettari rimessi in sesto dopo decenni di abbandono, con sorgenti recuperate, laghi artificiali, cisterne, sistemi di fitodepurazione, terrazzamenti contro l’erosione, swales per la ritenzione idrica e perfino una biopiscina che non usa né cloro né cemento armato. Un ecosistema complesso, più tecnico che romantico, dove anche il rewilding – zone lasciate alla natura assoluta – è parte della strategia di sopravvivenza.

Dietro la filosofia del neoruralesimo, però, c’è l’aritmetica. L’autosufficienza, da sola, non mantiene nessuno: serve altro. E questo “altro” ha un nome preciso: ecoturismo. Accoglienza sostenibile, corsi di formazione, seminari olistici. È questo meccanismo a garantire la continuità economica del modello, insieme al regime fiscale agevolato che per le attività agricole connesse permette di calcolare il reddito con un’imposizione ridotta al 25% dei corrispettivi Iva. Una boccata d’ossigeno per chi ha scelto una vita che produce poco cibo ma moltissima ideologia. Una vita che la stessa famiglia Trevallion-Birmingham pare abbia pure rifiutato, preferendo l’isolamento al turismo ancestrale. Ma son scelte di vita, e nessuno può sindacare. A parte, ovviamente, quando queste cozzano con le leggi.
Pare che quando hanno comprato la casa, questa fosse provvista di tutte le utenze necessarie. Ma appena entrati, hanno staccato gli allacci della luce e dell’acqua e hanno demolito il bagno.

Nel gruppo abruzzese ogni gruppo fa la sua parte. Artigiani della terra nuda, contadini biologici, praticanti di arti marziali, persone timide ma con competenze precise, dai rapporti con la stampa alle tecniche agricole più complesse. Si incontrano all’aperto, accendono il fuoco, si scambiano abbracci come una liturgia e poi passano ore a discutere di bottiglie da riutilizzare, aiuti per la raccolta delle patate, soluzioni per staccarsi dalle utenze domestiche. Cinque, sei, sette ore. Poi musica: chitarre, violini.

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