Un anno dopo, il fango non è ancora stato lavato. Gli “Acab” si rincorrono sempre sui muri scrostati del Corvetto, le accuse ai carabinieri montano di nuovo nonostante le perizie abbiano appurato la regolarità del loro inseguimento, l’odio anti-divise non si è esaurito. La morte di Ramy, da quella maledetta notte milanese del 24 novembre, continua a essere il feticcio perfetto per la sinistra. Obiettivo: sobillare la base antagonista contro lo Stato, contro le destre, contro le forze dell’ordine. Ilaria Salis, una che il quartiere del 19enne egiziano scappato insieme all’amico tunisino Fares all’alt dei militari lo conosce benissimo avendoci vissuto da occupante abusiva e avendolo pure trasformato in campo di battaglia (era il 2014) dopo lo sgombero di un centro sociale, è tornata in campo. «Ragazzo di periferia, nuovo italiano, giovane proletario. Per qualcuno solo un “maranza” in meno, una vita di serie B, uno dei quartieri problematici. Per noi figlio del popolo, per sempre», ha scritto sui social l’europarlamentare di Avs. Tutta la galassia di estrema sinistra è con lei.
RAZZISMO E PRO-PAL
La rete “Liberi di lottare No ddl 1660 (ovvero il decreto sicurezza, ndr)” lo dice a chiare lettere: «Sappiamo chi è Stato». Nel loro mirino c’è il governo: «Lo stato di polizia non accenna a rallentare e propone altre misure, in particolare il ddl “anti-maranza”, mirato specificatamente a colpire quei giovani e quelle giovani di seconda generazione, che più vivono lo stato di oppressione razzista e sfruttatrice dell’economia di guerra e del controllo sociale, ma che sono soprattutto quella fetta di classe oppressa che è stata in prima linea nelle mobilitazioni contro il genocidio e al fianco della resistenza Palestinese». È un gran minestrone di follie, amalgamate con una buona dose di anarchia. Ieri sera i centri sociali milanesi, dal Leoncavallo al Lambretta passando per il Cantiere, si sono radunati in via dei Cinquecento, dove vive (pare abusivamente) la famiglia di Ramy, per sfilare in fiaccolata fino all’incrocio tra via Quaranta e via Ripamonti, laddove il T-Max guidato da Fares aveva terminato la sua folle corsa (lunga otto chilometri) contro un semaforo. In testa il papà del 19enne, Yehia Elgaml, e il presidente della comunità egiziana di Milano, Aly Harhash. Tante le foto del giovane ritratte su cartelloni e striscioni. In corteo c’era anche il capogruppo del Pd in consiglio regionale, Pierfrancesco Majorino. Finita la passeggiata, gli antagonisti hanno apposto una targa commemorativa, “A Ramy Elgaml, figlio di Milano e fratello amato di Corvetto”, nel punto in cui Ramy si radunava con gli amici (sempre in via dei Cinquecento). E poi un piccolo concerto autogestito, in piazzale Gabrio Rosa, con le canzoni «di chi attraverso la cultura hip hop ha provato a raccontare l’ingiustizia e la storia di Ramy».
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Intanto, il padre di Ramy, Yehia Elgaml, - che dopo le 48 ore di scontri scoppiati al Corvetto in seguito alla morte del figlio aveva invitato tutti alla calma - ha contestato l’Ambrogino d’Oro assegnato al Radiomobile dei Carabinieri. Prima in un’intervista a Repubblica, poi ai microfoni del Tgr Lombardia, ha spiegato: «Ho ancora fiducia nella giustizia, quello sempre, continuo ad averla. Aspetto la verità. Ma voglio dire una cosa: l’Ambrogino d’Oro per i carabinieri non va bene. Sono arrabbiato: non dovevano darlo a loro. È morto un ragazzino e loro hanno delle colpe. Chiedo che glielo tolgano». Il riconoscimento all’Arma era stato proposto dalla vicesegretaria e consigliere comunale milanese della Lega, Silvia Sardone, «dopo i vergognosi attacchi subiti da sinistra».




