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Due o tre cose che dovete sapere su di noi

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Leggi il primo editoriale di Vittorio Feltri su Libero, del 18 luglio 2000

Giulio Bucchi
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In vista del ritorno di Vittorio Feltri pubblichiamo il primo editoriale scritto dal direttore su Libero del 18 luglio 2000. Un miracolo si è già compiuto: Libero ha visto la luce dopo una gestazione sofferta, come quasi tutte le gestazioni. Adesso c'è bisogno di un secondo (decisivo) miracolo, e questo si può realizzare solo se voi, cari lettori, lo volete: il neonato quotidiano per crescere sano e vivere a lungo deve essere acquistato in un numero sufficiente di copie, diciamo 45-50 mila.Non sono un'esagerazione, ma neppure poche. Di norma il pudore impedisce al direttore di parlare di queste cose concrete, volgari. Scusate se non mi adeguo al costume, ma preferisco sacrificare lo stile alla trasparenza e tenervi al corrente anche sulle vicende di casa nostra oltre che sui casi degli altri. Anzi, annuncio che periodicamente vi aggiornerò sullo stato di salute dell'impresa qualcuno si domanderà perché un nuovo giornale in tempi in cui si assiste alla moria di vecchie e recenti testate, e la crisi della stampa si evidenzia nel calo complessivo delle copie vendute. Rispondo. Intanto è stimolante sfidare una divinità come il mercato, mai adorato tanto quanto ora e adorato con maggior trasporto proprio da coloro che lo combatterono per anni. Nonostante tutto, poi, siamo convinti che nel panorama ricco e variegato della carta scritta mancasse un organo nazionale sganciato dai cosiddetti poteri forti e anche da quelli deboli, sganciato dalle banche, dai gruppi finanziari e industriali e dagli apparati politici, cioè non influenzato da aziende e uomini che usano o potrebbero usare il giornale per scopi diversi da quello normale: rendere e ottenere favori onde concludere affari di varia natura anziché fornire notizie, servizi giornalistici,opinioni, inchieste e reportage in cambio esclusivamente di 1500 lirette. Il nostro Libero non ha padroni (né padrini) se non noi stessi, artigiani dell'informazione, cani sciolti e senza collare, e alcuni amici che con noi condividono l'avventura nella speranza di non rimetterci troppo. Di qui il nome Libero,un nome che esprime un dato di fatto. Intendiamoci, non abbiamo il monopolio della libertà, un bene per fortuna molto diffuso perfino tra i giornalisti, ma teniamo a sottolineare che ce ne siamo presi una bella fetta per svolgere meglio e più serenamente il nostro lavoro. Poiché la politica è afflitta, oggi come ieri, da un conformismo asfissiante e deprimente, desideriamo contribuire insieme con voi a svegliarla un po'. Volevo dire mutarla, ma mi sono trattenuto perché quando è cambiata è cambiata in peggio: ci accontenteremo di discuterla e criticarla, consapevoli di compilare un quotidiano e non il Vangelo. Commetteremo degli errori, come ne abbiamo commessi in passato. Stavolta tuttavia nessuno ci potrà accusare di aver sbagliato su commissione dell'editore giacché l'editore c'est moi. Libero è un quotidiano d'opinione, quindi deve averne almeno una e non ve la nascondiamo: il Polo non ci è mai andato a sangue, ma la sinistra ancor meno e quando si è trattato di votare, abbiamo scelto il primo turandoci il naso e non solo quello. E presumo continueremo a sceglierlo. Probabilmente cammineremo spesso nella stessa direzione del centrodestra, però non saremo compagni di viaggio comodi e non ci faremo condurre al guinzaglio da nessuno: chi è indipendente, lo è anche da Arcore. Se capiterà di schierarci con Berlusconi, sarà una soddisfazione farlo senza riceverne lo stipendio.

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