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Se euro e credito frenano la ripresa

Partite Iva in difficoltà. Allarme artigiani: senza l'aiuto delle istituzioni non usciamo dalla crisi

Andrea Tempestini
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Crolla del 36% il fatturato delle piccole imprese della provincia di Roma, il 97,4% delle circa 430 realtà imprenditoriali romane. E se come ci dice il presidente della Cna Lazio, Danilo Martorelli, Roma è il nocciolo duro della Regione, i dati usciti ieri dalla confederazione artigianale non fanno ben sperare per il resto del territorio. Anche se, bisogna dirlo, è un po' tutta l'Italia e il resto del mondo a segnare il passo sotto i colpi di una crisi che non vuol passare. Martorelli quasi si scusa, quando racconta che «siamo orami alla frutta», e che anzi «è arrivato il conto da pagare». Chiede ironicamente perdono, se «noi piccoli artigiani, come anche le industrie e tutte le associazioni ormai diciamo sempre le stesse cose. Siamo sulla stessa barca. Solo il Palazzo pare non rendersene conto». I dati romani restituiscono lo stesso spaccato che emerge da queste parole: la Cna della Capitale attesta che il 91,6% degli imprenditori «non ritiene che il territorio abbia recuperato le potenzialità di sviluppo del periodo precedente alla crisi, e nel 93,1% casi pensano di non essere adeguatamente supportati dalle amministrazioni locali». «Il crollo degli utili e del fatturato avrà inevitabilmente un impatto sociale che purtroppo sarà pagato dai giovani», ha aggiunto ieri Lorenzo Tagliavanti, collega di Martorelli in Cna Roma: «La situazione è grave, già oggi un giovane su tre non trova lavoro. La miccia è corta per tutti e tutti abbiamo il dovere di rispondere. La situazione è grave e la cosa più grave è che quasi il 94% delle imprese hanno la percezione di essere lasciate sole. Questa solitudine e questo pessimismo è da ribaltare e per questo tutti dobbiamo convergere in una strategia comune». Voce concorde arriva anche dal presidente di Confartigianato Lazio, Cesare Cocchi, che disegna uno scenario di crisi. «Anche se la Regione», spiega infatti, «ha dalla sua le risorse che provengono dal turismo – pur penalizzato – e tutte quelle attività difficilmente delocalizzabili, le nostre imprese fanno fatica ad incrementare l'occupazione italiana sul territorio». Innanzi tutto a causa della concorrenza dei lavoratori stranieri, «troppo spesso non in regola», e poi per colpa dei giovani, restii «a fare turni di notte quando a casa hanno genitori che li assecondano in tutto». «I giovani studiano male», aggiunge Martorelli, «sono demotivati, non c'è per loro meritocrazia. Come stupirsi se poi quelli bravi espatriano?». Uno dei problemi principali, a detta sia di Martorelli che di Cocchi, è la difficoltà delle banche ad erogare il credito. «Nonostante gli spot che vediamo in televisione, la realtà è ben diversa», chiosa Cocchi, per il quale globalizzazione ed euro restano i fattori principali della crisi. Con l'Europa è risentito anche Martorelli, che punta però il dito all'interno dei confini, se «maggioranza e opposizione non sanno – come è stato fatto in Grecia – sedersi a un tavolo e prendere decisioni condivise, necessarie al di là delle proteste». «Accesso al credito o ricerca e innovazione sono chimere per noi piccole o microimprese», continua il presidente di Cna Lazio. «Lo Stato impari a spendere bene. Quale Paese ha le nostre spese per mantenere il Palazzo? Quale Paese è costellato da comunità montane che potrebbero essere facilmente razionalizzate? Si teme di infrangere privilegi, ma chi resterebbe a casa potrebbe forse dedicarsi davvero a fare del bene a questo Paese, anziché occupare poltrone». «Anche le piccole imprese», aggiunge, «guardano con apprensione a quanto accade in Borsa, sui mercati. Perché questo “balletto della politica” non riduce gli sprechi e ci toglie risorse, perché le incertezze sulle norme, come ad esempio quelle sulle detrazioni fiscali per le energie pulite – che ci colpiscono direttamente – creano l'impossibilità di ottenere qualche beneficio». «Ritengo», conclude Martorelli, «che il dulcis in fundo sia l'incertezza che riguarda oggi l'Ice, l'istituto per il commercio estero. È da ripensare con logiche più dinamiche e moderne, questo è certo, ma sopprimerlo significa togliere a noi piccole imprese lo strumento per aggredire i mercati. Attendiamo risposte anche su questo fronte». di Giulia Cazzaniga

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