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E forza Scalia

filippo facci

Andrea Tempestini
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Sabato è morto l'italo-americano Antonin Scalia, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti e sicuramente il giurista più influente del suo Paese: quindi, in un certo senso, dell'intero Pianeta. Molti giornali italiani vi hanno dedicato spazio e si sono soffermati soprattutto sulle sue visioni conservatrici (era stato nominato da Ronald Reagan nel 1986) e quindi sulle sue posizioni in tema di morale, sessualità, omosessualità, soprattutto sulla sua ostilità al politically correct e all'affirmative action, intesa come quei trattamenti preferenziali per minoranze etniche svantaggiate. Gli articoli italiani sono andati nel dettaglio, erano particolareggiati, fatti anche bene: non hanno mancato di riconoscere a Scalia la sua autorevolezza. Bene: ma ce ne fosse stato uno, di articolo, che abbia riportato anche le opinioni di Scalia sulla giustizia italiana. Due esempi. Intervista del 9 ottobre 1993 rilasciata a Repubblica: «Mi ha colpito il fatto che i magistrati italiani possano detenere a loro piacimento gli inquisiti finché non cantano. Se mi è permessa una critica, non capisco come il vostro sistema giustifichi questo potere dei giudici, perché mi sembra che si tratti di una norma incostituzionale. Se mi fosse sottoposta, dovrei abrogarla». Intervista rilasciata a Panorama il 25 giugno 1998: «Ciò che maggiormente non mi piace del sistema italiano è la combinazione delle funzioni di giudice e di pm. È una pessima cosa». Eh, probabilmente questo Scalia era un berlusconiano. di Filippo Facci @FilippoFacci1

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