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Renzi potrà vincereperché somiglia al Cav

Matteo Renzi e Silvio Berlusconi

Lucia Esposito
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Sapete perché Matteo Renzi alla lunga potrebbe vincere? Perché assomiglia tremendamente a Silvio Berlusconi. Nell'aspetto, nel carattere, nel modo di atteggiarsi. E soprattutto nella costruzione del proprio personaggio per farne la macchina adatta alla conquista del traguardo che si è dato. Se non fossimo davvero certi della fedeltà coniugale della signora Renzi madre, saremmo indotti a pensare che nella primavera del 1974 il Cavaliere sia passato per Rignano sull'Arno e abbia avuto un'intensa love story con la signora. Dopo di che, l'11 gennaio 1975 nacque un bimbo chiamato Matteo.   Ma quali sono i punti di somiglianza tra Renzi e Berlusconi? Primo di tutto la faccia. Silvio è stato il primo leader italiano a capire quanto il volto poteva essere importante in politica. Ancora oggi, nonostante l'età (77 anni il 29 settembre) e malgrado le infinite traversie giudiziarie, ha i tratti di un cinquantenne. Saranno le cure estetiche o il cerone, ma non appare per niente un vecchio signore. E quando compirà i 77 sarà ancora così. Lo aiuta la simbologia del gioco del lotto, dove quel numero significa le gambe delle donne.   A 38 anni compiuti, Renzi ha il viso di un ragazzo. Paffuto, la pelle fresca, qualche neo messo nel punto giusto, capelli neri e senza un filo di grigio. Anche la voce è quasi da adolescente. Abbastanza stridula, con alti e bassi che sorprendono sempre. Quando il timbro sembra svanire, dopo una concione di un paio d'ore, la voce riprende quota e stupisce gli ascoltatori o l'intervistatore.   Del resto la resistenza fisica di Renzi impressiona tutti di continuo. Il Cav è in grado di comiziare per un tempo infinito. Lo stesso può fare Renzi. Qualcuno ricorderà una puntata recente di Bersaglio mobile, il talk show di Enrico Mentana sulla Sette. Matteo ha parlato, parlato e parlato, sia pure dicendo anche un mare di banalità. Ma ha stracciato chi aveva di fronte: Mentana e i due giornalisti convocati per contrastarlo, Marco Damilano e Marco Travaglio che, di fatto, non hanno quasi aperto bocca.   La logorrea è sempre una spia del carattere. Quello di Matteo non è per niente da piacione a tutti i costi. In realtà è un duro, cattivo, anche arrogante, pronto a tutto pur di arrivare dove ha deciso. Un'altra spia di quale uomo sia il vero Renzi è la parola che lo ha reso famoso: rottamazione con il verbo che ne discende, rottamare. È un termine spietato, se rivolto a esseri umani. Sa di razzismo e, perché no?, di soluzione finale.  Matteo l'ha adoperata contro la nomenklatura del Partito democratico, zeppa di capi, sottocapi e funzionari cresciuti nel Pci o nella Dc, tutti avviati alla terza età. Con facce sempre rugose, e non lisce come il volto renziano. Segnate dalle tracce  indelebili delle tante battaglie ingaggiate negli anni, con poche vittorie e molte sconfitte. Ma è uno slogan che domani potrebbe essere usato contro tutti gli over cinquanta.   Non so chi abbia creato questa parola semplice e spietata. Se sia stata partorita dalla fantasia di Matteo o di qualche diabolico spin doctor, un consigliere astuto quanto un demonio. Tuttavia è facile prevedere che la bandiera della Rottamazione verrà sventolata nelle prossime battaglie renziane. L'Italia è un paese che invecchia. Però sono gli anziani che occupano i posti di prima fila. Nel frattempo trionfa la retorica dei giovani senza futuro. È facile immaginare che Matteo si rivolgerà soprattutto a loro, urlando una parola d'ordine: mandiamo a casa le mummie perché adesso tocca a noi!.   È una strategia che Renzi ha già messo in atto a Firenze. Lo spiega bene un libro che nessun giornale importante ha recensito: Chi comanda a Firenze. L'ha scritto Duccio Tronci, un giovane giornalista fiorentino, e l'ha pubblicato in maggio l'editore Castelvecchi. La sua ricerca, per nulla encomiastica, ci ha aiuta a mettere a fuoco le mosse vecchie e nuove di Matteo. Più il cammino che il sindaco di Firenze intende percorrere.  Sul cammino l'unica certezza è che Renzi non intende fermarsi. Nelle ultime settimane era sembrato in letargo. Pensavamo che stesse meditando sul rischio di un'esposizione mediatica eccessiva. Ma forse stava soltanto riflettendo sugli obiettivi che vuole perseguire. Non sempre facili da delineare perché la strada da percorrere è terremotata, sotto le scosse continue delle incertezze che paralizzano il vertice democratico.  Quando tenere il congresso del Pd, chi sarà chiamato a votare il nuovo segretario, questo leader sarà anche il candidato premier nelle elezioni politiche che prima o poi ci saranno, oppure risulterà necessario indire delle primarie per scegliere l'uomo che contenderà Palazzo Chigi al centrodestra?   Adesso, ovvero all'inizio dell'agosto 2013, Renzi sembra aver deciso come muoversi. Sottolineo il “sembra” perché in casa democratica nulla è mai sicuro. Secondo un analista attento come Alberto Gentili del Messaggero, il sindaco di Firenze avrebbe delineato così la propria linea d'attacco: «Il modello sarà quello di Tony Blair. Lui prima conquistò il Partito laburista, poi lo cambiò da cima a fondo, svecchiandolo. Infine andò al governo. Ecco questo sarà il mio percorso».  Un'impresa per niente facile. Neppure per un politico d'assalto come Renzi. Chi lo conosce bene racconta che Matteo confida soprattutto su due fattori. Il primo è la fortuna che lo ha aiutato a vincere sempre, tranne nelle primarie del 2012. Del resto, ricorda un suo amico, Napoleone non chiedeva ai generali di essere forti in battaglia, voleva che fossero fortunati.  Ma anche la sorte più favorevole deve essere aiutata. Con l'arma di oggi: la comunicazione spinta all'estremo e al suo prodotto principale: l'apparire. Su questo terreno Renzi ha già fatto passi da gigante. Due anni fa, al di là dei confini di Firenze, non era nessuno. Oggi lo riconoscono per strada dovunque. Lui saluta tutti e ricambia gli auguri. Si ferma a dare “il cinque” ai ragazzini. Rompe gli schemi che i capi del Pd considerano infrangibili. Un esempio per tutti: quando andò a trovare Berlusconi nella villa di Arcore. Qualche avversario di centrodestra sospira con rammarico: «Dovrebbe essere Renzi a raccogliere l'eredità del Cavaliere, non la povera Marina Berlusconi, costretta dal padre a scendere in una trincea che non conosce. E che le riserverà soltanto amarezze, ostilità che non ha mai incontrato e, Dio non voglia, l'assalto della magistratura rossa». Ma questo è soltanto un sogno a occhi aperti. La realtà ci dice quale potrebbe essere l'unico vero ostacolo alla strategia immaginata da Renzi.  È l'aggravarsi improvviso della crisi politica italiana. Con un rottura delle larghe intese, a causa dell'Imu, dell'Iva o di qualche altra diavoleria. Risultato: nuove elezioni in autunno, un disastro per l'Italia, dopo i tanti sacrifici che il paese sta affrontando. Tuttavia contro questa sciagura esistono degli argini. Il primo è Giorgio Napolitano che ha già spiegato di non voler sciogliere le Camere. Il secondo è l'assenza di un nuova legge elettorale indispensabile a evitare il rischio che la Corte costituzionale annulli un Parlamento eletto con il Porcellum. Lo ha spiegato con elegante chiarezza il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, uno dei cervelli pensanti del Pdl. E allora? Resterebbe in campo soltanto un nuovo governo guidato da Enrico Letta. A Renzi non piacerebbe per niente. Ma al Bestiario piacerebbe molto. Meglio un Letta oggi che un signor X domani. Forse Matteo dovrà attendere ancora un po' di tempo, prima di proporsi come il nuovo Berlusconi di quest'epoca confusa. Dove tutto cambia e non sempre per il meglio.   Giampaolo Pansa  

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