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Vittorio Feltri: "Non chiedo a nessuno di uccidermi, pago soltanto per un servizio"

Davide Locano
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Di seguito, vi pubblichiamo il botta e risposta tra Gaetano Quaglieriello e Vittorio Feltri sul suicido assistito e fine vita. Per primo, l'intervento di Quagliariello. Caro Direttore, se passeggiando per Roma lei incontrasse un uomo affetto da depressione in procinto di gettarsi nel Tevere, avvertirebbe l' impulso di acciuffarlo per la collottola o si farebbe "i cazzi suoi" in ossequio al principio di autodeterminazione? E se qualcuno obiettasse che la condizione di un depresso (come quella, ad esempio, della giovane olandese Noa morta di suicidio assistito) è diversa da quella di un disabile grave o di un malato con patologia fisica inguaribile, non potrebbe l' aspirante suicida contestare questa sorta di classifica del dolore e la pretesa altrui di decidere quale sia la soglia che rende una sofferenza sopportabile o meno? E una volta stabilito che questa sofferenza può rendere una vita indegna, come non rendersi conto che il passo successivo è ciò che è accaduto da ultimo a Vincent Lambert, disabile impossibilitato a esprimersi, ucciso indipendentemente dalla sua volontà e contro quella dei suoi genitori, in nome del suo presunto "migliore interesse"? Tutto questo per dire che se il tema dell' eutanasia e del suicidio assistito si limitasse a un fatto di libertà individuale e di autodeterminazion , la questione sarebbe assai più semplice. Ciascuno risponderebbe ai propri dettami morali, e finirebbe lì. E, per inciso, le assicuro che non vi è alcuna religione più rispettosa della libertà della persona di quanto lo sia il cristianesimo. Ma torniamo laicamente a noi. Non è un caso che lei abbia iniziato il suo articolo di giovedì invocando la libertà e lo abbia concluso parlando del "diritto a morire". Il punto è che si può anche decidere di suicidarsi, ma non si può chiedere ad altri di essere aiutati nell' impresa o addirittura di essere ammazzati. Tantomeno si può chiederlo al Servizio sanitario nazionale, perché per lo Stato la vita e la morte non possono essere opzioni equivalenti. Altrimenti verrebbe meno qualsiasi principio solidaristico che giustifichi l' esistenza dello Stato stesso. Il problema risiede nella pretesa di trasformare la libertà in un diritto esigibile, perché il diritto esigibile impone in capo allo Stato - e dunque ad altre persone - il dovere di assicurarne l' esercizio facendosi dispensatore di morte. Lo Stato garantisce diritti, non amministra libertà; in caso contrario, non faremmo altro che trasferire in campo liberale il vizio di quei marxisti che pensano di poter fare la carità col portafoglio altrui. E se esiste un diritto inviolabile alla vita, un ordinamento non può contemplare un equivalente diritto alla morte. Se così stanno le cose, la distinzione tra eutanasia e suicidio assistito (che attiene alle modalità di "esecuzione" e non alla volontarietà dell' atto) è davvero priva di qualsiasi fondamento. Caro Direttore, quello dell' autodeterminazione assoluta è un pericoloso abbaglio. Anche perché l' autodeterminazione "assistita" implica per forza di cose, in qualche misura, la coercizione dell' autodeterminazione altrui (non a caso la brutta legge eutanasica sul testamento biologico non prevede per i medici obiezione di coscienza). So bene che esistono situazioni limite di fronte alle quali tenere fermo il "no" significa sembrare insensibili. E non è un caso che le campagne pro eutanasia vengano costruite tutte attorno a stati di sofferenza estrema. Ma è proprio di fronte al limite che bisogna tenere duro, perché se si imbocca il piano inclinato si finisce inevitabilmente all' uccisione dei deboli inconsapevoli, o a negare un dato di natura come il fatto che un padre, al cospetto di un figlio depresso che vuole farla finita, cerchi in tutti i modi di sconfiggere la sua autodeterminazione. di Gaetano Quagliariello (Senatore di Idea) *** Caro onorevole Quagliariello, vengo accusato di tutto, però mai nessuno mi ha rimproverato per mancanza di chiarezza. Io ho scritto soltanto che l'eutanasia e il suicidio assistito sono cose diverse. E tali sono benché lei dica il contrario. La prima avviene senza il consenso del morituro, e questo mi lascia perplesso. Il secondo è una decisione personale che non può essere negata. Lei dovrebbe sapere che un uomo in difficoltà che voglia andare all'altro mondo, che magari non c'è, e si rivolga a una struttura attrezzata, sceglie di trangugiare un beverone e lo fa spontaneamente, senza incoraggiamenti di sorta. Lo fa materialmente ossia prende in mano il bicchiere e manda giù il liquido. Non esistono forzature. È come assumere una supposta. Te la metti tu se te la vuoi mettere, altrimenti tralasci. Lei invece preferirebbe che un tizio che non desidera più vivere, e sono affari suoi, si gettasse dal quinto piano anziché sorseggiare in proprio un liquido preparato da altri che non ti obbligano certo a usufruirne. Come fa a non capire un concetto così elementare? I veleni si vendono, basta saperli comprare. Esistono ed esiste anche la libertà di mandarseli nello stomaco. I cristiani si comportino come aggrada a loro, tuttavia non pretendano di imporre ad altri idee rispettabili però non di valore universale. Se lei non vuole morire a me non importa nulla, faccia lei. Ma se io viceversa aspiro per motivi miei a togliermi dai piedi perché lei me lo deve impedire in base e princìpi che non condivido neanche a rate? Lo Stato, la politica non possono interferire nella mia vita e nella mia morte. Il mio padrone sono io e nessun altro. Non chiedo ad alcuno di uccidermi, semplicemente pago un servizio: quello di offrirmi un calice che poi tracanno senza la complicità altrui. Della eutanasia nel mio articolo non ho parlato se non per affermare che essa è una soluzione complicata sulla quale nemmeno mi sono pronunciato in senso positivo. Mi piacerebbe soltanto che sul mio eventuale decesso nessuno mettesse il becco. di Vittorio Feltri

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