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Caso Cucchi: conclusa l'inchiesta

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Cade l'accusa di omicidio colposo e preterintenzionale

Tatiana Necchi
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Si è conclusa l'inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, il ragazzo morto lo scorso 22 ottobre una settimana dopo essere stato arrestato dai carabinieri per spaccio di droga. La procura di Roma non ha individuato nella vicenda il reato di omicidio colposo per nessuno degli indagati. I magistrati, i pm Vincenzo Barba e Francesca Loi, alle luce dei risultati delle perizie, hanno modificato le ipotesi di accusa originarie. Per le guardie carcerarie, alle quali si contesta di aver percosso il ragazzo in una cella di sicurezza del tribunale di Roma, i reati sono di lesioni e abuso di autorità. Inizialmente a loro era contestato il reato di omicidio preterintenzionale. «Era evidente che l'accusa non poteva rimanere quella di omicidio preterintenzionale. Con la configurazione del reato di lesioni si apre la partita processuale e siamo sicuri che anche queste accuse cadranno _ ha detto Diego Perugini legale dell'agente di polizia penitenziaria Nicola Minichini, al quale la Procura di Roma ha contestato, insieme ad altri due suoi colleghi, i reati di lesioni personali e di abuso di autorità in relazione alle percosse che Stefano Cucchi, secondo l'accusa, subì mentre era in attesa di comparire davanti al giudice che doveva processarlo per detenzione di stupefacenti _ Leggeremo gli atti e ci confronteremo sulle accuse. Siamo certi che anche questa accusa non potrà reggere. Se da una parte siamo soddisfatti perchè il reato ipotizzato all'inizio è venuto meno, comunque l'accusa di lesioni è grave e dimostreremo che queste non ci sono state e che comunque non sono imputabili agli agenti di Polizia penitenziaria». Mentre per i medici dell'Ospedale Sandro Pertini coinvolti nella vicenda i pm Vincenzo Barba e Francesca Loi ipotizzano, a seconda delle posizioni, il favoreggiamento, l'abbandono di persona incapace, l'abuso d'ufficio e il falso ideologico. Nel capo di imputazione si contesta alle persone in questione d'aver abbandonato dal 18 al 22 ottobre del 2009 Stefano Cucchi loro affidato ed era incapace di provvedere a se stesso.. Sono indicate anche le patologie di cui soffriva al momento del ricovero Cucchi a loro era stato attribuito l'omicidio colposo. Stefano, infatti, era affetto da politraumatismo acuto con bradicardia in soggetto in stato di magrezza patologica. Cucchi si era venuto a trovare in uno stato di pericolo di vita che esigeva il pieno attivarsi dei sanitari i quali, invece, omettevano di adottare i più elementari presidi terapautici e di assistenza e nel caso di specie apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adottabilità e non comportavano particolare difficoltà di attuazione essendo peraltro certamente idonei ad evitare il decesso del paziente. Tra le varie omissioni che secondo la Procura hanno impedito di prestare adeguate cure a Cucchi nel capo di imputazione si sottolinea la mancata esecuzione di un elettrocardiogramma che appariva assolutamente necessario e addirittura la mancanza di una semplice palpazione del polso che sarebbe stata utile per controllare l'evoluzione della brachicardia. Inoltre non è stato adottato alcun presidio diagnostico doveroso al fine di chiarire l'origine di tale brachicardia che, in data 21 ottobre viene segnalata in cartella pari a 36 bpm, omettendo inoltre il controllo seriato degli elettroliti e della glicemia, accertamenti questi di assai semplice esecuzione in presenza di prelievi ematici quotidiani. la famiglia Cucchi si dice soddisfatta del lavoro svolto dal pm: «Esprimiamo soddisfazione per il grande lavoro svolto dai pm _ dicono in una nota _ Quando è stato arrestato Stefano stava bene ed è morto in condizioni terribili perché stava male dopo essere stato picchiato dagli agenti di polizia penitenziaria. Stefano è stato picchiato perché si lamentava e chiedeva farmaci. Questa è la tremenda verità che emerge chiaramente dal capo d'imputazione particolarmente articolato. Non dimentichiamo che senza quelle botte Stefano non sarebbe morto. I medici si devono vergognare e non sono più degni di indossare un camice».  

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