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L'episodio è grave

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di Filippo Facci

carlotta mariani
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È come se le saracinesche dell'informazione fossero rimaste inceppate per tutta la notte - sino alla tarda mattinata di ieri - salvo rompersi verso le 11.00, quando le notizie e le reazioni hanno cominciato a fluire e a raccontare che cos'era effettivamente successo a Maurizio Belpietro. Qualcosa, appunto, da principio aveva inceppato un meccanismo che pareva indeciso circa la categoria giornalistica in cui inquadrare la faccenda: solo questo, l'altra notte, spiega l'assenza di cronisti e giornali (salvo un paio) e spiega che molti quotidiani non hanno fatto una cosiddetta “ribattuta” nonostante il fatto risalisse a prima delle 23, e il primo lancio d'agenzia a mezzanotte e 17. Poi, certo, c'era anche il Corriere in sciopero. Pazienza, quindi, anche se il telegiornale de La7, nella sua prima rassegna stampa, si sia limitato a dire che «un uomo avrebbe potuto aggredire Maurizio Belpietro»: la notizia non era ancora chiara, anche se tre quotidiani già la urlavano in prima pagina. Molte più perplessità destava però la rassegna mattutina del Tg3: alle 6 e 18, in dieci secondi, liquidava la notizia in coda al notiziario e prima del «Cis, viaggiare informati» con annessa diretta da Sette Bagni. Anche il Gr1 delle 7.00, diversamente dal notiziario di Radio24, ignorava la notizia tra i lanci d'apertura, diversamente dal golpe serale in Ecuador che nessun media italiano ha osato snobbare. Il tutto inversamente proporzionale al diluvio di lanci e reazioni e allarmi e indignazioni che dal pomeriggio di ieri hanno invaso redazioni e radio e tv: l'attentato era stato inquadrato e sdoganato, non c'è stato più nessuno che abbia omesso di dire la sua, forse no, non era una cazzata di Libero o del Giornale, non era solo una scusa perché un Capezzone o una Santanchè puntassero il dito contro il solito «clima».  A scoppio ritardato Ecco che da allora si sono mossi praticamente tutti, comprese sigle e personalità giornalistiche che mai l'avrebbero fatto per primi: perché devono passarne ancora tanti, di anni, perché un direttore di centrodestra sia considerato alla stregua di qualsiasi altro. Nel frattempo partiva quel genere di esercitazione dietrologica che non necessita neppure di informazioni precise. Il clima, il clima: eppure le dissertazioni meterologiche servono relativamente, lo sappiamo tutti, sono robaccia da bega politica. Anche l'eterna caccia alle analogie («È come negli anni Settanta») lascia il tempo che trova: il clima forse può favorire, ma mai realmente causare. E comunque no, a pensarci bene non è come negli anni Settanta, e neanche Ottanta, e neanche Venti o Trenta: è come nel 2010, l'altra notte era soltanto come il 30 settembre 2010 e forse c'è qualcosa di nuovo da capire, da sapere, da analizzare, qualcosa che magari non c'entra niente con le tiratrici di lacrimogeni ai sindacalisti o coi dissociati mentali che lanciano souvenir, qualcosa che potrebbe non c'entrare nulla neppure con la memorialistica di quei giornalisti che «ai miei tempi era peggio» e che cercano solo l'occasione per ridiscutere degli Anni di Piombo, all'eterna ricerca di brandelli di giovinezza.  Qualcosa di nuovo L'altra notte il presunto attentatore di Maurizio Belpietro non era né un pazzo improvvisato né un marine specializzato. Di pazzi Belpietro ne ha visti tanti (io lo so bene) e i pazzi surriscaldati dal «clima» s'avventano scompostamente in redazione com'è già successo in precedenza, oppure attaccano per strada, s'infiltrano tra il pubblico, sono molle caricate - loro sì - dalla tensione sociale. Ma un pazzo, o un ladro comune, non è informato degli orari di rientro del direttore dalla redazione o dall'aeroporto, non conosce l'indirizzo preciso e il piano preciso in cui vive con la sua famiglia; un pazzo o un ladro non calcola che il caposcorta al solito ridiscende in ascensore e non certo per le scale, scelta eccezionale perché l'agente si era appena acceso una sigaretta. Un pazzo o un ladro non conosce via di fughe alternative così da riuscire a dileguarsi a fronte di due professionisti ben addestrati.  D'altra parte le forze dell'ordine sanno bene che il presunto attentatore potrebbe non essere un navigato professionista: da una parte perché l'attentato non è riuscito (si dice sempre così, quando non riesce) e dall'altra perché un professionista di norma non si fa beccare con la pistola in pugno e neppure tenta di sparare: in fondo gli bastava aspettare un minuto d'orologio, nascosto in cortile, e il caposcorta se ne sarebbe andato. Comprendere perché un uomo impugnasse una pistola vicino alla porta di Maurizio Belpietro, in sostanza, resta materia tecnica per gli inquirenti e tutto il resto è banale esercitazione, per ora. Diversamente da molti, però, non nascondo la sensazione - che non mi sento di motivare, adesso - che qualcosa di nuovo e di imprevisto stia socialmente accadendo in questo Paese. Quel tizio, forse, non era un pazzo, non era un ladro e non era un professionista. Ma è proprio questo a inquietare. Era qualcosa di diverso.  Di nuovo.

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