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Il vero vilipendio è quello contro la libertà d'opinione

Che fine ha fatto in Italia la possibilità di esprimere il proprio pensiero? Napolitano dovrebbe pensarci / FACCI

Andrea Tempestini
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Ma che fine ha fatto la libertà di opinione, in Italia? Giorgio Napolitano dovrebbe riflettere anche su questo. Restiamo una delle poche nazioni civili che ancora se la menano col vilipendio, eppure lo sanno tutti, non è la stupidità a rendere un'opinione meno opinione. Berlusconi ha parlato in piazza e subito sono scattate le denunce, col professor Carlo Federico Grosso a disperarsi perché non sapeva come fare: «Ho consultato i codici alla ricerca di strumenti adeguati», ha detto all'Unità, «ma non ne ho trovati». L'IPOTESI Prima aveva ipotizzato l'articolo 283 (attentati agli organi dello Stato) mentre per Roberto Lassini, quello dei manifesti sulle Br fuori dalle procure, ha poi suggerito l'articolo 290 sul vilipendio, subito fatto proprio dal procuratore Armando Spataro. Intanto Antonio Di Pietro presentava un bell'esposto pure lui ('stavolta su Berlusconi che ha parlato di un patto tra Fini e le toghe) mentre di giustizia e processi si è messo a parlare anche il Cardinale Tettamanzi nella sua omelia della domenica delle Palme. E mentre Maria Giovanna Maglie chiede il sequestro dell'ultimo libro di Massimo Fini e lo denunciava  (ecco, mancava) tocca stropicciarsi gli occhi a dar ragione a Marco Travaglio: «Dipendesse da noi», ha scritto sul Fatto di ieri, «i reati di opinione sarebbero aboliti da un pezzo. Ma, siccome esistono, non si vede proprio perché debba essere incriminato e deprecato e scandidato quel tal Lassini e il presidente del Consiglio invece no». I MANETTARI Magari Travaglio preferirebbe che fossero incriminati entrambi, ma, per restare al linguaggio corrente, mancano le prove. Del resto si invocano «le prove» anche del patto tra Gianfranco Fini e i giudici, descritto da Berlusconi che ha parlato di «un testimone»: il linguaggio ormai è questo, si cammina col Codice sotto il braccio, è l'autentica vittoria di Mani pulite, abbiamo delegato alla magistratura il disbrigo di ogni relazione, persino ogni decisione su che cosa sia lesivo della nostra dignità: non si dice più «mi hai offeso», si dice «è un reato». Tutti querelano tutti, una denuncia e la questione è chiusa. Giorgio Napolitano dovrebbe ricordarsi di quando Antonio Di Pietro arringò la folla di Piazza Farnese e definì potenzialmente «mafioso» il comportamento del Presidente della Repubblica: Di Pietro fu denunciato per vilipendio e tutti contenti, fine del dibattito, poi fu prosciolto dopo dieci-giorni-dieci e tutti nemici come prima: vedrete invece il torrone che adesso ci faranno con l'inchiesta sui Lassini e relativi «mandanti». LA CAMPAGNA Il bello è che, se politica è ormai una musica impazzita, non è neanche vero che Berlusconi sia il direttore d'orchestra: giornali ed esternatori sono come i Wiener Philharmoniker, si dirigono da soli, basta che qualcuno alzi l'archetto. Berlusconi, domenica, apriva una campagna elettorale, mica andava a castagne: l'ha fatto come lo fa da 17 anni, ha cercato di toccare le corde che preferisce e ha fatto le sue sparate di sempre, piacciano o meno. Il professor Federico Grosso però l'ha messa così: «Se crede che le sue accuse abbiano un fondo di verità, abbia il coraggio di denunciare nelle sedi opportune, che non sono i comizi elettorali». E certo, le sedi opportune ormai sono solo le procure, tutto passa da lì. Il vicepresidente del Csm Michele Vietti, a Otto e mezzo su La7, ha ammesso che la giustizia italiana ha un dannato bisogno di riforme, e che queste tuttavia sono a buon punto; il dettaglio, a essere precisi, è che Vietti ha parlato di «auto-riforme», perché resta inteso che i magistrati le riforme devono farsele da soli. Ha detto così. Un inasprimento del reato di vilipendio della magistratura, chissà, potrebbe essere un primo passo.

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