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Il metodo Travaglio: mezze verità per dire bugie tutte intere

Vicedirettore del 'Fatto' sfrutta la polemica sul libro di Fini per insultare 'Libero'. E censura la realtà / DE' MANZONI

Andrea Tempestini
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Da mesi, in tv e sui giornali, ci rimbambiscono quotidianamente con la  “macchina del fango”, una definizione utilizzata per sminuire e liquidare qualsiasi inchiesta o notizia sgradita all'opposizione e ai suoi cantori. La variante è il “trattamento Boffo”, etichetta che serve allo stesso scopo ma per essere adoperata abbisogna di un surplus di mistificazione: straordinario, nello specifico, lo scrittore Roberto Saviano che ha disinvoltamente derubricato il reato di molestie in “una telefonata a una persona che non voleva essere disturbata”. Forse è arrivato il momento di parlare di un altro “trattamento”, di cui abusano gli stessi che strillano contro la macchina del fango. Consiste nel manipolare la realtà raccontando solo una parte della storia. Per esempio, di un processo si riferisce con dovizia di particolari l'accusa, omettendo la difesa e, se non coincidente con i propri scopi, persino la sentenza. Potremmo chiamarlo “metodo Travaglio”, dal nome di uno dei suoi più illustri epigoni. Il quale ieri, sul Fatto, si è prodotto in un editoriale che si presta magnificamente a illustrare l'operazione truffaldina. La spalla di Michele Santoro si è occupata della polemica sul libro di Massimo Fini, Il Mullah Omar: un dibattito di cui i lettori di Libero sanno tutto, ma che è pressoché ignoto agli acquirenti di altri quotidiani, compresi quelli del Fatto visto che il giornale di cui Travaglio è vicedirettore ha accuratamente seppellito in penultima pagina l'unico intervento sulla vicenda sinora pubblicato (quello del medesimo Massimo Fini, collaboratore della testata). Ora improvvisamente la diatriba viene portata in prima pagina? Ma come? E perché? Presto detto: per mettere un po' di sterco in circolazione. Travaglio scrive della denuncia alla magistratura fatta da Maria Giovanna Maglie nei confronti del libro di Fini, accusato di apologia di terrorismo, sottolinea come la Maglie sia un'opinionista di Libero e aggiunge tra parentesi accanto alla nostra testata un “ah ah” che starebbe a simboleggiare l'irrefrenabile ilarità che lo prende accostando il termine “libero” al giornale che state sfogliando (che volete, bisogna compatirlo: crede di essere ironico…). Dopodiché lo spiritosone riporta ampi stralci del pezzo pubblicato il 13 aprile in cui la Maglie spiegava la sua iniziativa contro Massimo Fini, si indigna, prova a fare un po' di sarcasmo, infine se la prende con la lettera della deputata Souad Sbai pubblicata “sempre su Libero (ah ah)”. Tutto falso? No. Eppure l'articolo porta lontanissimo dal vero. Già, perché l'aedo delle procure, il depositario della virtù, l'uomo che ogni giovedì ci fa la morale in prima serata tv omette semplicemente di dire che sull'argomento Libero è intervenuto anche con un pezzo di Francesco Borgonovo (12 aprile) e un editoriale del direttore Vittorio Feltri (14 aprile) molto critici verso la Maglie e la Sbai, definite addirittura “talebane” per il proposito di trascinare il libro di Massimo Fini in tribunale. Inoltre sul nostro giornale lo stesso Fini ha avuto spazio e modo di esporre il suo punto di vista in ben tre occasioni: 9, 12 e  14 aprile. Facile no? Si nasconde una parte della storia (la più importante), si fa passare Libero come complice di un'operazione illiberale e si invita il lettore a sghignazzare sul nostro giornale. Un lettore al quale, per inciso, anziché il “fatto” promesso nella testata si è venduta solo un'opinione avariata. È il metodo Travaglio. E non c'è niente da ridere. di Massimo de' Manzoni

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