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A breve il voto su Milanese Governo, è la resa dei conti

Montecitorio decide sulla richiesta d'arresto per l'ex braccio destro di Tremonti. La Lega lo difende, ma resta la paura dei franchi tiratori

Andrea Tempestini
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Autosospensione dal gruppo parlamentare e dal partito. Alla vigilia della pronuncia dell'Aula di Montecitorio sulla richiesta di arresto nei suoi confronti, Marco Milanese si gioca l'ultima carta per evitare il carcere. La carta è la stessa che utilizzò, con successo, il collega senatore Alberto Tedesco, del Pd, prima del voto di Palazzo Madama sulla richiesta di custodia cautelare inoltrata dai magistrati pugliesi. Obiettivo: separare il proprio destino da quello del gruppo di appartenenza nella speranza di intercettare più consensi. «È mia precisa volontà che la vicenda giudiziaria che mi vede coinvolto non venga in alcun modo strumentalizzata e utilizzata a fini di battaglia politica e che possa nuocere all'azione politica del mio partito», spiega infatti Milanese, preoccupato per quello che potrà accadere stamattina. La 'moral suasion' di Napolitano oggiLa sorte dell'ex braccio destro di Giulio Tremonti, numeri alla mano, è più che mai incerta. Anche se nel Pdl, dopo le rassicurazioni di Umberto Bossi, c'è più ottimismo rispetto ai giorni scorsi. «Non ci saranno franchi tiratori», assicura il capogruppo Fabrizio Cicchitto. «Alla fine Milanese dovrebbe sfangarla: siamo fiduciosi», pronosticano dal partito. E se Giorgio Stracquadanio ammette che il rischio di qualche malpancista del Pdl in libera uscita c'è, la convinzione è che un aiutino, stavolta, complice il voto segreto possa arrivare dalle opposizioni: «Anche dalle loro parti hanno guai con la giustizia. Si renderanno conto che concedere un nuovo arresto dopo quello di Papa rischia di trasformarsi in un incentivo alle manette da parte delle procure». In tutto questo Tremonti si defila: «L'accusa e la difesa, i fatti, il diritto e infine il giudizio, devono essere separati dalla politica. Ho sempre avuto fiducia nella giustizia». Cicchitto, ieri, è stato protagonista di un braccio di ferro con Gianfranco Fini, presidente della Camera, sulle modalità della votazione di oggi. Costretto a incassare il voto a scrutinio segreto, nella conferenza dei capigruppo il Pdl si è battuto per il voto con le palline - ogni deputato inserisce nell'urna una pallina rossa o nera a seconda se sia favorevole o contrario all'arresto - invece dello scrutinio elettronico. Solo così, ha spiegato Cicchitto, sarebbe stato possibile evitare «il voto teleguidato» di Dario Franceschini, il capogruppo del Pd che in occasione della pronuncia ai danni di Alfonso Papa spinse i suoi deputati a votare in modo tale che dalle riprese tv si capisse come si era espresso il gruppo. Impedendo, di fatto, ogni possibilità di dissenso dalla linea ufficiale del gruppo. Niente da fare, si è opposto Fini: il voto con le palline è previsto solo in caso di cattivo funzionamento del sistema elettronico. Il presidente della Camera, tuttavia, ha fatto appello al «senso di responsabilità» per garantire il rispetto della segretezza del voto. Ma «nessun marchingegno può impedire la volontà di rendere noto il proprio voto», ha aggiunto scatenando la rabbia del Pdl, che ha accusato Fini di «violare il principio della segretezza del voto». Non si è trattato dell'unica porta in faccia sbattuta da Fini alla maggioranza. L'altra c'è stata quando il presidente della Camera ha respinto l'interpretazione in base alla quale il plenum dell'Aula (630 deputati) non sarebbe stato garantito dall'assenza di Papa, ora in carcere. Tesi, ha ribattuto Fini, che «finirebbe per travolgere tutte le votazioni che si sono avute dall'autorizzazione all'arresto di Papa». Nel Pdl impazzano i calcoli: una buona notizia, ieri, è stata il ritorno del “responsabile” Gerardo Soglia, dato in avvicinamento a Fli, tra le fila della maggioranza. di Tommaso Montesano

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