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Bersani fatto a pezzi dai suoi Anche Franceschini lo scarica

Tra rotture e ricollocamenti si consumano le tragedie democratiche. Gentiloni: "Il segretario non sarà il nostro candidato"

Andrea Tempestini
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Tutti negano rotture e ricollocamenti. Eppure bastava essere ieri pomeriggio in Transatlantico per accorgersi dei movimenti in corso nel Partito democratico. All'ora di pranzo Walter Veltroni si vede con Dario Franceschini al ristorante di Montecitorio. Un incontro a due dopo la rottura di un anno fa, quando il capogruppo del Pd, facendo saltare l'alleanza congressuale, aveva deciso di sostenere il segretario del partito, entrando in maggioranza. Poche ore dopo Enrico Letta, vicesegretario, e Veltroni rientrano insieme da un corridoio adiacente al Transatlantico, palesemente dopo essersi fermati a parlare da qualche parte. Passa un'ora ed ecco Letta attraversare di nuovo il corridoione, dalla buvette alla posta, questa volta chiacchierando fitto fitto con Beppe Fioroni. Tutto questo dopo che nella direzione dell'altro giorno Franceschini e Letta si erano trovati sulle stesse posizioni di Veltroni nel criticare la linea del segretario. Su due punti in particolare: l'indecisione (se non ostilità) rispetto alla lettera della Bce, la posizione altalenante sul referendum e l'insistenza sul voto anticipato, anziché su un governo di emergenza. Fioroni folgora questi movimenti con una punta di sarcasmo: «Vedo che la minoranza si sta affollando... Ma sia chiaro che di qua abbiamo fatto gli steccati». Veltroni, invece, si preoccupa di smentire qualunque attrito con il segretario. Raccoglie i cronisti e spiega che «la mia intenzione è quella di unire». Assicura che Bersani non si rivolgeva a lui quando ha detto che qualcuno «vuole azzoppare» il partito. Racconta di avergli chiesto «se quella frase pubblicata sui giornali fosse da mettere in relazione con me e Bersani mi ha risposto di no, credeva fosse chiaro che si riferiva ad altri». Ma ribadisce il punto di contrasto con il segretario: «Sarebbe un errore andare a votare adesso con questa legge che farebbe un altro parlamento di nominati». Anche Franceschini nega rotture con Bersani: «Ma quali divisioni», spiega nel cortile di Montecitorio. «Siamo tutti per un governo di transizione. In direzione non ho proprio parlato della leadership di Bersani. Porre questo tema sarebbe autolesionismo». Il pranzo con Veltroni? «Parliamo tutti giorni, io e Walter. In Aula siamo seduti uno vicino all'altro: Bersani, io e Walter. Pensate che qualche volta si parlano anche Bersani e Veltroni...». Nel frattempo l'ufficio stampa di Modem fa sapere che lunedì, all'assemblea dell'area creata dall'ex segretario del Pd, Fioroni e Gentiloni per la prima volta interverranno anche Letta e Franceschini. A quel punto la Velina Rossa di Pasquale Laurito lancia l'anatema. E tuonando contro il nuovo asse Dario-Walter, parla di «faccendieri» che lavorerebbero contro Bersani.  I fedelissimi di Franceschini spiegano che non c'è alcuna rottura con il segretario, ma ammettono che sì, un riavvicinamento con Veltroni sui contenuti c'è: «C'è un'incertezza del segretario su troppi fronti». Mentre entrambi vogliono il governo di transizione, Bersani punta ad andare al voto nel 2012. «Perché così lui fa il candidato», si chiosa. Ma così, è la tesi di Franceschini e anche di Letta, si finisce per presentarsi con una coalizione troppo spostata a sinistra (Pd-Idv-Sel) e quindi destinata a perdere. «Specialmente se dall'altra parte si presenta Alfano. A quel punto Casini va con loro». Il contrasto tra Letta e Stefano Fassina sulla lettera della Bce, esploso in direzione, non è che il corollario della diversità di posizione sul governo di larghe intese. «È chiaro che se si fa un esecutivo di quel tipo il programma  sarà la lettera della Bce». La questione della leadership, per ora, viene messa da parte. Ma è chiaro che sullo sfondo c'è. Ieri a parlarne apertamente è stato Paolo Gentiloni: «Non è scontato che Bersani sia il  candidato del Pd alle future elezioni, anche se fossero nel 2012. Se si vogliono candidare anche altri non  possiamo cacciarli». Fosse per Roberto Benigni, la scelta sarebbe già fatta: «Matteo Renzi», ha detto ieri, «sarà il prossimo presidente del Consiglio, anche perchè l'attuale presidente Silvio Berlusconi ha le orge contate...». di Elisa Calessi

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